La rosa bianca - Sophie Scholl |
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Un film di Marc Rothemund.
Con Julia Jentsch, Alexander Held, Fabian Hinrichs, Johanna Gastdorf.
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Titolo originale Sophie Scholl - Die letzten Tage.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 117 min.
- Germania 2005.
uscita venerdì 28 ottobre 2005.
MYMONETRO
La rosa bianca - Sophie Scholl
valutazione media:
3,36
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Luce e buio della libertà e del totalitarismodi Salvatore ScagliaFeedback: 2256 | altri commenti e recensioni di Salvatore Scaglia |
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domenica 3 gennaio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
"La rosa bianca" è un lungometraggio ambientato a Monaco di Baviera, nella Germania nazionalsocialista del 1943, in cui una studentessa universitaria, Sophie Scholl (Julia Jentsch), assieme a pochi altri, tra cui il fratello Hans e l’amico Christoph Prost, anima un gruppo d’ispirazione cristiana - sparuto, ma combattivo - di lotta alla dittatura. Basato su una storia vera nonchè su documenti scoperti di recente, il film è un’autentica lezione di democrazia, seppur per contrapposizione concettuale, in cui appaiono essenziali i valori della coscienza e della libertà (che "è il tesoro più prezioso che abbiamo") - quasi spettacolare è su questo punto il confronto dialettico tra Sophie e il funzionario di polizia Robert Mohr (Gerald Alexander Held), alla fine dell’interrogatorio della ragazza -. Coscienza e libertà opposte all’offuscamento dell’io interiore e del totalitarismo quali conseguenze dell’impiego immorale del diritto - significativa, a tal proposito, è la rappresentazione filmica del processo, cui i tre amici sono sottoposti, privo di ogni garanzia effettiva di difesa -. Ma il dramma di Marc Rothemund si presenta pure come un pungolo di riflessione sulla forza delle idee, che, nell’opera, sostanziano la cosiddetta resistenza passiva al Terzo reich ("noi non rimarremo in silenzio"), ma che, in una prospettiva metacinematografica, costituiscono veicolo di rinnovamento positivo rispetto alla canea di un potere fanatico ed antiumano (nel film in questione efficacemente rappresentata dalle figure del bidello d’ateneo; del giudice, sbrigativo esecutore di una sentenza politicamente pre-scritta; e di un poliziotto, sosia di Hitler, che insegna a qual segno possa giungere l’ubbidienza cieca ad ordini superiori). Dal punto di vista scenografico e fotografico queste antitesi sono sottolineate dall’uso ricorrente della luce (del cielo guardato dalla protagonista; persino della lampada puntata, a mo’ di tortura, sul suo volto; o della candela che rischiara la cella di detenzione) e dei toni cupi (della stanza dell’estenuante inquisizione e della prigione). Dei toni cupi della barbarie dei persecutori (che, ieri come oggi, antepongono una - labile - ragion di stato alle - poderose - ragioni della persona) e della luce della giustizia - ma anche della Fede - di Sophie e dei suoi compagni; della "Rosa bianca", a formare simbolicamente la quale infine i tre si abbracciano. A fondersi in un vincolo perenne, ben oltre la morte-pena del potere e fino alla vera vita-premio della libertà rettamente applicata.
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