Il ritorno del monnezza

Con ardire pecoreccio e rozza sfrontatezza, Vanzina, pesca a piene mani nel torbido del «recuperismo» revisionista del trash, tradendo e svilendo quei pochi lati di sana purezza che il vecchio "Monnezza" riusciva a possedere. Ne vien fuori un elogio del turpiloquio e un abbrutimento della romanità, gretto e privo di idee, scanzonato ma ipocrita, razzista (alla fine la maggior parte dei criminali sono stranieri), ma buonista (Er monnezza in fondo aiuta e simpatizza sia con i marocchini abusivi, sia con i filippini scrocconi, ma il messaggio che questi ultimi vivono d'imbroglietti rimane), e naturalmente qualunquista fino allo stremo (i cattivi sono tutti politicanti, parrucconi e alto borghesi, mentre le persone semplici sono tutte pure di cuore: ma pensa tu!). Vanzina e Amendola hanno un target di pubblico ben preciso e fanno di tutto per accattivarselo, ma il risultato è quanto mai patetico. Bisogna dirlo, però, qualche volta (la suoneria, la battuta sul "Corriere dello Sport"e qualche "mei cojoni"), in fondo rara, si ride, anche se si tratta di risate di frustrazione. Incredibilmente di cattivo gusto il finale con la voce di Amendola padre. *