IL CANE GIALLO DELLA MONGOLIA
di Byambasuren Davaa
Interpretato da una famiglia nomade e presentato in anteprima con grande successo al Festival del Nuovo Cinema di Pesaro del 2005, il film è tratto da un racconto di Gantuya Lhagua.
Una bimba è salvata dagli avvoltoi grazie ad un cane abbandonato dai nomadi, suoi familiari.
Storia di fiction, dunque, su di un impianto documentaristico, visto che la famiglia nomade e l’ambiente in cui vivono per mesi sono reali, come nello stile della giovane regista mongola, classe 1971, di cui già s’era visto Storia del cammello che piange.
Girato con sensibile delicatezza e realismo poetico quasi allo stato puro, di chiara impronta femminile, il bel docu-fiction rappresenta anche un interessante spaccato etno-antropologico dei nomadi della Mongolia di oggi, sospeso fra tradizione atavico-abitudinaria ed innovamento del quotidiano.
Narrato con disarmante semplicità è, come solo le cose davvero semplici sanno trasmettere, fonte e principio di grande autenticità, sia reale che metaforica.
MARIA CRISTINA NASCOSI
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