stefano mura
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giovedì 20 ottobre 2005
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i giorni dell'abbandono
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I giorni dell’abbandono
Roberto Faenza non smentisce la sua passione per le storie a tinte forti e dopo l’ottimo Alla luce del sole, storia del coraggioso Don Puglisi e della sua lotta contro la mafia, il regista si presenta al festival del Cinema di Venezia con I giorni dell’abbandono. Tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante ed interpretato da due degli attori più interessanti del panorama italiano, Margherita Buy e Luca Zingaretti, il film ci propone uno spaccato di vita quanto mai quotidiano. Mario (Zingaretti) confessa alla moglie Olga (Buy) di avere una relazione con un’altra donna e contemporaneamente di sentire il bisogno di riflettere sul loro futuro. Rifiutata da un marito che ancora ama, e incapace di gestire il momento di crisi, Olga perde completamente le redini della propria vita, disinteressandosi di se stessa e dei suoi figli.
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I giorni dell’abbandono
Roberto Faenza non smentisce la sua passione per le storie a tinte forti e dopo l’ottimo Alla luce del sole, storia del coraggioso Don Puglisi e della sua lotta contro la mafia, il regista si presenta al festival del Cinema di Venezia con I giorni dell’abbandono. Tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante ed interpretato da due degli attori più interessanti del panorama italiano, Margherita Buy e Luca Zingaretti, il film ci propone uno spaccato di vita quanto mai quotidiano. Mario (Zingaretti) confessa alla moglie Olga (Buy) di avere una relazione con un’altra donna e contemporaneamente di sentire il bisogno di riflettere sul loro futuro. Rifiutata da un marito che ancora ama, e incapace di gestire il momento di crisi, Olga perde completamente le redini della propria vita, disinteressandosi di se stessa e dei suoi figli. Grazie all’aiuto del vicino di casa Damian (Goran Bregovic), un musicista riservato e sensibile, oltre che alla sua forza d’animo, Olga ritroverà speranza e voglia di vivere. I giorni dell’abbandono seguono un iter ben stabilito, presentandosi tanto sereni al principio quanto sofferenti verso l’epilogo. Lo stato d’animo della protagonista muta come il clima della città in cui vive. Le strade di Torino sono inizialmente riscaldate da un sole estivo che a poco a poco lascia il posto al gelido inverno che avanza, come se la vita della donna fosse la metafora della natura stessa e del suo continuo ciclo di morte e rinascita. Gli abiti di Mario, gettati da Olga nel cassonetto dopo aver incontrato il marito per strada con l’amante, sono raccolti e portati via dalla senzatetto silenziosa che abita sotto casa. Il film sembra dimostrarci che dopotutto niente si ferma davanti al dramma di questa donna abbandonata, sottolineando come il tema portante sia quello del superamento delle difficoltà ad ogni costo.
La storia viene narrata con gli occhi della protagonista, presentandoci il suo profondo percorso di accettazione e di ricostruzione psicologica. Dall’uso di alcolici, passando per vuoti di memoria e scatti d’ira, Faenza ci propone le tappe della ricostruzione, portandoci verso un finale tenero e giustamente speranzoso.
Il film è sorretto da una Margherita Buy in splendida forma, perfettamente calata in quello che è un ruolo congeniale alla sua recitazione, sospesa tra il drammatico e il nevrotico. Luca Zingaretti è l’antieroe per eccellenza, un marito ingrato e dal cuore freddo, oltre che un attore oramai pronto per il grande schermo. Goran Bregovic, autore delle musiche del film e alla sua seconda prova come attore , veste i panni del timido vicino di casa.
Un film duro, che mostra come la perdita dell’autostima sia di gran lunga peggiore di ogni tradimento, ma che ci lascia con un messaggio positivo cantato da Carmen Consoli nei titoli di coda: “Un vento caldo annunciava il risveglio di tempi migliori…”.
Stefano Mura
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la gha
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venerdì 23 giugno 2006
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ohi bò
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Dio salvi Luca Zingaretti e lo preservi da ogni possibile disgrazia, affinchè ci rimanga sempre così fresco e bello da guardare. Lo salvi e lo preservi da ogni possibile rimbambimento e problema alle corde vocali, affinchè possiamo continuare a godere delle sue magistrali interpretazioni. Dio annienti, invece,tutti gli uomini come il personaggio interpretato da Zingaretti. Un marito che dopo anni di matrimonio e due figli lascia una magnifica donna come Olga (Margherita Buy) senza nemmeno una spiegazione o un perchè. E così cominciano i giorno dell'abbandono, giorni in cui una donna, ormai sola, si vede costretta ad affrontare qualunque tipo di problema senza più un supporto, senza più sapere davvero cosa fare.
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Dio salvi Luca Zingaretti e lo preservi da ogni possibile disgrazia, affinchè ci rimanga sempre così fresco e bello da guardare. Lo salvi e lo preservi da ogni possibile rimbambimento e problema alle corde vocali, affinchè possiamo continuare a godere delle sue magistrali interpretazioni. Dio annienti, invece,tutti gli uomini come il personaggio interpretato da Zingaretti. Un marito che dopo anni di matrimonio e due figli lascia una magnifica donna come Olga (Margherita Buy) senza nemmeno una spiegazione o un perchè. E così cominciano i giorno dell'abbandono, giorni in cui una donna, ormai sola, si vede costretta ad affrontare qualunque tipo di problema senza più un supporto, senza più sapere davvero cosa fare. Persino cacciare via da casa un piccolo ramarro, operazione demandata in precedenza al marito, diviene quasi un impresa epica. Olga è sola, anche i suoi due figli, che ama profondamente, diventano un peso per una donna in piena crisi emotiva e distrutta da un matrimonio fallito e il non riuscirsi a spiegare il perchè. E comincia così la risalita, il rinascere dalle ceneri di una persona che prima era e ora non è più, una donna che deve affrontare le sue paure, piccole o grandi, e le a superate.
Margherita Buy è magnifica con il suo voler mentenere la calma e risultare perciò molto divertente quando esplode in momenti di sconforto o semplicemente di rabbia. E' un film molto piacevole e a volte anche toccante, come la metafora del metronomo.Girato molto bene in una caldissima, assolata e stupenda Torino.
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mariac
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martedì 1 dicembre 2009
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il senso di vuoto facilmente riempito
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I giorni dell'abbandono, tratto dal libro di Elena Ferrante, è stato trattato decisamente mele dalla critica. Libro e film sembrano condividere lo stesso destino,la derisione per l'esagerazione. Il tema è l'abbandono di una donna da parte del marito che sente improvvisamente un "vuoto di senso" e non riesce a starle accanto. Ma che significa? Ho sentito parlare qualche volta sei sensi di vuoto ma mai del contrario. In realtà se a questo vuoto aggiungi una bionda chioma e un fisico mozzafiato ecco che tutto prende senso. Ma gli uomini parlano veramente così quando vogliono andarsene di casa?
L'argomento è sicuramente ripetuto nel cinema italiano che ci ha graziato di colorati tradimenti anche nelle sboccacciate commedie natalizie in cui ci sono donne che reagiscono con vigore al colpo subito, Olga ( Margherita Buy )invece, si abbandona all'abbandono.
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I giorni dell'abbandono, tratto dal libro di Elena Ferrante, è stato trattato decisamente mele dalla critica. Libro e film sembrano condividere lo stesso destino,la derisione per l'esagerazione. Il tema è l'abbandono di una donna da parte del marito che sente improvvisamente un "vuoto di senso" e non riesce a starle accanto. Ma che significa? Ho sentito parlare qualche volta sei sensi di vuoto ma mai del contrario. In realtà se a questo vuoto aggiungi una bionda chioma e un fisico mozzafiato ecco che tutto prende senso. Ma gli uomini parlano veramente così quando vogliono andarsene di casa?
L'argomento è sicuramente ripetuto nel cinema italiano che ci ha graziato di colorati tradimenti anche nelle sboccacciate commedie natalizie in cui ci sono donne che reagiscono con vigore al colpo subito, Olga ( Margherita Buy )invece, si abbandona all'abbandono. E' una donna votata alla causa familiare, conosce le uniche gioie del matrimonio e quando vede crollare quell'unico progetto, che credeva perfetto, precipita nel baratro. Visto da chi ha una quotidianeità attiva, con lavoro, vita sociale può sembrare un disperato tentativo di sorprendere, di esasperare la portata al dolore ma credo sia invece il dramma che molte donne vivono. Non ci si deve soffermare tanto alla trama del film, che può sembrare banale e inconsistente, quanto invece all'incapacità di guardarsi intorno, di stupirsi del vuoto che si è creato attorno alla propria vita, all'inadeguatezza di vivere in un mondo a cui non si può appartenere senza la figura di un uomo accanto.
Margherita Buy perfetta nel ruolo di eterna smarrita, di incompresa, di angosciata.
Gli altri ruoli sono inconsistenti, credo che lo stesso Luca Zingaretti sia sprecato per un film che lo vede semplicemente fare le valigie e scappare...
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theophilus
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sabato 2 novembre 2013
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ci si sente proprio abbandonati...
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I GIORNI DELL’ABBANDONO
Si respira un’aria da fumisteria, con qualche sniffata d’esotismo e situazioni plateali tipiche delle più banali sit-com televisive in questo I giorni dell’abbandono. Il titolo del film diventa simbolo, speriamo non profetico ma solo momentaneo, del tradimento che il pubblico deve subire da parte di un regista, Roberto Faenza, che finora non aveva mai deluso, almeno non così pesantemente.
Alla prima parte della storia, in cui si delinea una trama troppo scontata, che pure ha in sé potenziali tratti drammatici, fa seguito – nel secondo tempo del film – un definitivo abbandono di ogni speranza, una delusione derivata dai paludamenti grotteschi della protagonista, che preludono ad una soluzione finale tipicamente benpensante.
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I GIORNI DELL’ABBANDONO
Si respira un’aria da fumisteria, con qualche sniffata d’esotismo e situazioni plateali tipiche delle più banali sit-com televisive in questo I giorni dell’abbandono. Il titolo del film diventa simbolo, speriamo non profetico ma solo momentaneo, del tradimento che il pubblico deve subire da parte di un regista, Roberto Faenza, che finora non aveva mai deluso, almeno non così pesantemente.
Alla prima parte della storia, in cui si delinea una trama troppo scontata, che pure ha in sé potenziali tratti drammatici, fa seguito – nel secondo tempo del film – un definitivo abbandono di ogni speranza, una delusione derivata dai paludamenti grotteschi della protagonista, che preludono ad una soluzione finale tipicamente benpensante.
Apparentemente, questo di Faenza è l’ennesimo film sulla crisi della famiglia e dei suoi valori; in effetti non si vede uno straccio di analisi e non se n’evidenziano le motivazioni.
Un uomo, Mario (Luca Zingaretti), che se ne va di casa perché ha una crisi di senso; che ogni tanto si fa vedere per fare il buon papà che gioca con i suoi figli, mentre la moglie tenta un recupero in cucina – per sua sfortuna, però, un coccio di bottiglia finisce nel cibo – oppure urla e strepita – e qui la sceneggiatura tenta di valorizzare la situazione con frasi pesanti e osé, che invece suonano solo patetiche e ridicole - …un po’ poco e detto neanche bene. Poi arriva la figura salvifica e melensa di un musicista, dall’accento dell’est, e tutti i salmi finiscono in gloria.
Vogliamo metterci dentro anche il cane che muore per aver addentato, anziché un biberon – come fa la Nana di Peter Pan - un flacone d’insetticida, ma che poi rivive, fulgidamente assunto nel regno dei cieli dal violoncellista, deus ex machina? Oppure l’accattona che staziona sotto la casa di Olga, la quale vede riflessa in lei l’immagine di una donna che ritorna in un suo sogno ricorrente e che muore annegata? Ancora, la classica madre ottusa e rompipalle che si scandalizza perché la sua bambina, che non ne può più, sbotta in un turpiloquio liberatorio? O, che so, Olga che prima fa a pugni con la crisi di senso, forse di trent' anni più giovane di lei, poi, com’è buona lei, la perdona, fa la moglie comprensiva e l’invita a casa sua con Mario per farle conoscere i suoi figli? Non scherziamo, per favore.
Dove ho sbagliato?Dove sono stata insufficiente (sic)? – si chiede la protagonista con fare da bacchettona, che, evidentemente, ha bisogno di darsi un voto: i soliti sensi di colpa di chi si ritiene inadeguato. Tutto viene fatto girare su una conflittualità interpersonale, sul paradigma di una crisi soggettiva, senza una parola sul modello sociale ed esistenziale che c’è dietro: a quel punto è quasi inevitabile, per l’abbandonata, l’arrivo del principe azzurro dell’est e ben le sta.
La Bui (ovviamente Olga, la moglie) tenta di risollevare le sorti segnate di un film irrecuperabile, ma sembra sempre più prigioniera di un clichè interpretativo che la vede un po’ Maddalena pentita, un po’ madame Bovary, un po’ espressione di un’immagine incerta di donna che non si capisce bene se rivendichi un ruolo da femminista che si oppone al maschio padrone e ingrato o, al contrario, se regredisca ad uno stadio preindustriale, aspirando al modello della famiglia patriarcale.
Falso come l’ottone anche l’uso rétro di Olga - traduttrice di romanzi inglesi - della macchina per scrivere anziché del computer: una forma di lacrimosa captatio benevolentiae per un pubblico impegnato.
Un altro finale – che pure non riusciamo ad immaginare – avrebbe forse potuto rendere meno catastrofica questa inattesa caduta: è stato l’improvviso illuminarsi della protagonista, che risolve in maniera accomodante tutto il suo logorarsi interiore, a provocare il definitivo crollo. Quando, portata a viva forza a teatro dagli amici, Olga ritrova il suo sorriso a cospetto del vicino di casa che - fin lì quasi beffeggiato e ridicolizzato - ora sale nella sua stima perché, evidentemente, non è un piccolo travet della musica, abbiamo ravvisato un’ulteriore nota moralistica e, a quel punto, tutte le parti tradizionalmente pendenti del corpo ci sono cascate a terra.
In quello sguardo sentimentalistico, rassicurante, strappasorriso, abbiamo rivisto, pari pari, quello di Maggie Smith, nella parte della madre superiora da lei recitata in Sister Act (1992, Emile Ardolino). Lì, però, l’ironia con cui il regista faceva illuminare il volto della Smith, rendeva più godibile, per contrasto, lo scoppio della sua ira all’improvviso capovolgersi della situazione, quando la soubrette Whoopi Goldberg trasforma la chiesa in una sala da ballo.
Qui ci viene offerto un finale che suona riparatore dei torti subiti dalla protagonista, pacificatore e rassicurante. Finisce, però, con l’essere una solenne bischerata, ammantato com’è di un ottimismo di maniera, con l’uso della bacchetta magica sulle note di gigante pensaci tu, oppure in una versione riveduta e corretta (male) di Cenerentola.
Enzo Vignoli
21 settembre 2005.
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enrico
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lunedì 24 ottobre 2005
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noioso
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Banale e noioso, si salvano solo le interpretazioni della Buy e quella del cane.
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rescart
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sabato 31 marzo 2012
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gerarchia delle urgenze
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Quando tutto sembra crollare intorno a e i fondamenti vengono meno c’è una sorta di istinto inconscio che si riaffaccia alla soglie della coscenza, una sorta di istinto di sopravvivenza che “congiura” a nostra favore per farci seguire una gerarchia delle urgenze, che coscientemente non seguiremmo mai. Ne “I giorni dell’abbandono” l’istinto di sopravvivenza coincide con l’istinto di una madre che deve reinventare una narrazione biografica spezzata dal marito, che l’abbandona per seguire una nuova fiamma, la giovane figlia di un’amica di famiglia rimasta da poco vedova. Nel caos esistenziale e psicologico che ne consegue si riaffaccia una forza inconscia, primordiale, che consente all’abbandonata di sostituire la traduzione di un insignificante best-seller d’oltralpe con un proprio racconto.
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Quando tutto sembra crollare intorno a e i fondamenti vengono meno c’è una sorta di istinto inconscio che si riaffaccia alla soglie della coscenza, una sorta di istinto di sopravvivenza che “congiura” a nostra favore per farci seguire una gerarchia delle urgenze, che coscientemente non seguiremmo mai. Ne “I giorni dell’abbandono” l’istinto di sopravvivenza coincide con l’istinto di una madre che deve reinventare una narrazione biografica spezzata dal marito, che l’abbandona per seguire una nuova fiamma, la giovane figlia di un’amica di famiglia rimasta da poco vedova. Nel caos esistenziale e psicologico che ne consegue si riaffaccia una forza inconscia, primordiale, che consente all’abbandonata di sostituire la traduzione di un insignificante best-seller d’oltralpe con un proprio racconto. Quello della sua realtà esistenziale contingente, impersonata nella figura della poverella che si ricorda all’ultimo momento di avere delle responsabilità anzitutto verso i suoi due figli ancora bisognosi delle sue cure, in assenza delle attenzioni del padre ma non dei suoi alimenti. L’assenza del padrone invece sarà rimpiazzata dal fedele otto, il simpatico cane di casa, con una bomboletta di insetticida, che ben presto lo porterà all’avvelenamento e alla morte. Ma questo sarà l’unico evento veramente drammatico di un film destinato al lieto fine, a dispetto di tutti gli uccellacci del malaugurio che vedono nelle separazioni famigliari e nei divorzi le radici di tutti i mali della società contemporanea.
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emanuela fiorito
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mercoledì 3 maggio 2006
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i giorni da dimenticare
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Esco dal cinema, ho appena visto ''I giorni dell'abbandono''...banale, scontato, senza spessore, lascia un imprecisato senso di dejà vu. Il solito minestrone con la solita Margherita Buy diva del drammone isterico, e uno Zingaretti poco convincente, scarno, inefficiente, talvolta ridicolo, che preferiamo decisamente nei panni del commissario Montalbano. La solita vicenda della donna sopra i quaranta abbandonata dal marito che scappa con la diciottenne del momento. La moglie per questo si da all'alcool, dimentica il suo ruolo di madre, si lascia andare a gesti inconsulti e poco reali, urla al marito la propria insicurezza, fino alla patetica scena (di pessimo gusto) in cui si getta tra le braccia del timido vicino di casa.
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Esco dal cinema, ho appena visto ''I giorni dell'abbandono''...banale, scontato, senza spessore, lascia un imprecisato senso di dejà vu. Il solito minestrone con la solita Margherita Buy diva del drammone isterico, e uno Zingaretti poco convincente, scarno, inefficiente, talvolta ridicolo, che preferiamo decisamente nei panni del commissario Montalbano. La solita vicenda della donna sopra i quaranta abbandonata dal marito che scappa con la diciottenne del momento. La moglie per questo si da all'alcool, dimentica il suo ruolo di madre, si lascia andare a gesti inconsulti e poco reali, urla al marito la propria insicurezza, fino alla patetica scena (di pessimo gusto) in cui si getta tra le braccia del timido vicino di casa. Il violinista impacciato della serie vorrei-ma-non-posso che proprio non sa dove mettere le mani, violino a parte. Interpretazione dubbia e sbavata della Buy, che proprio non riesce a calarsi nel dramma psicologico e a suscitare legittima indignazione nel pubblico femminile.
Alla fine, cio' che emerge e' la solita figura della donna perdente che si rende ridicola pur di riavere a tutti i costi un uomo ormai inevitabilmente perso, ricorrendo ad inutili quanto patetici stratagemmi per tornare a farsi desiderare. Ma a nulla possono tacchi a spillo e improbabili tubini dimenticati in fondo all'armadio, trucco da vamp o acconciatura da femme fatale. Il maschio e' ormai in fuga verso la bambinona di turno dagli occhioni innocenti, che lo strega nientemeno che col suo invidiabile talento con le formule matematiche. Lui, che le ripetizioni preferisce impartirle tra le lenzuola, non esita a presentare il conto alla moglie senza la minima alzata di sopracciglio, trangugiando maccheroni al vetro e intimando silenzio e comprensione, ma accidenti, mi sono innamorato, e' forse una colpa? Inutile e tragicomica la morte del povero cane, unica vera vittima del dramma. Piu' che giorni dell'abbandono sono giorni da dimenticare.
Si salva solo la colonna sonora, con la cantantessa catanese Carmen Consoli e la sua poesia.
Emanuela Fiorito
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benn
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domenica 18 settembre 2005
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spero che non piaccia neanche al pubblico
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veramente brutto!uno di quei film che mentre lo vedi pensi di voler strappare la macchina da presa dalle mani del regista e sconvolgere tutta la sceneggiatura. ma davvero è tutto qui?ti domandi alla fine...la banalità sta nei dialoghi,nei pensieri, nelle azioni,nelle metafore,nelle semplificazioni.oltre a non avere saputo sfuttare la bravura di 2 attori che rimangono avvolti nella superficialità.piace ai superficiali e alla donna che sta affrontando la separazione, per empatia. fior di quattrini ad opere come queste e il cinema italiano continua a confermare la sua banalità. eppure secondo me dalla storia si potevano trarre spunti molto più interessanti. basta con queste storie di coppie ricche e borghesi che vivono nelle grandi città e affrontano sempre le stesse problematiche!!!!! che n
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veramente brutto!uno di quei film che mentre lo vedi pensi di voler strappare la macchina da presa dalle mani del regista e sconvolgere tutta la sceneggiatura. ma davvero è tutto qui?ti domandi alla fine...la banalità sta nei dialoghi,nei pensieri, nelle azioni,nelle metafore,nelle semplificazioni.oltre a non avere saputo sfuttare la bravura di 2 attori che rimangono avvolti nella superficialità.piace ai superficiali e alla donna che sta affrontando la separazione, per empatia. fior di quattrini ad opere come queste e il cinema italiano continua a confermare la sua banalità. eppure secondo me dalla storia si potevano trarre spunti molto più interessanti. basta con queste storie di coppie ricche e borghesi che vivono nelle grandi città e affrontano sempre le stesse problematiche!!!!! che noia mortale!!
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[+] semplicità disarmante
(di catma)
[ - ] semplicità disarmante
[+] irritante
(di vinx)
[ - ] irritante
[+] non ti vergogni?
(di roberto)
[ - ] non ti vergogni?
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