Flightplan - Mistero in volo

Roberto Nepoti

Mentre sugli schermi c'è ancora Red Eye, un film come Flightplan fa un bizzarro effetto di déjà-vu. Le situazioni sono quasi identiche a quelle del thriller di Craven: a bordo di un aereo, una donna è perseguitata da un compagno di viaggio, che la ricatta minacciando la vita di un suo caro. Le differenze riguardano quasi unicamente le dimensioni del velivolo: un Jumbo E-474 grande come un condominio e capace di ospitare centinaia di persone, nei cui labirinti la cinepresa si muove evocando i meandri di una mente disturbata.
In pieno volo tra Berlino e New York, la prematura vedova Kyle smarrisce la figlia. Poiché nessuno ha visto la bambina, l'angosciatissima madre viene presa per paranoica. Sospetto che pare legittimato quando la donna, stravolta dall'ansia, aggredisce - è l'episodio più infelice - un passeggero arabo. Malgrado tutto, lo spettatore sa che Jodie Foster (già madre-coraggio sola contro tutti in Panic room) non è tipo da allucinazioni e si schiera al suo fianco, ansioso di vedere come andrà a finire.
Anche se poi la credibilità dell'attrice, con la quale è facile entrare in empatia nella prima mezz'ora, finisce dilapidata in un film che decolla bene, subisce turbolenze durante la mezz'ora centrale poi, con l'ultimo terzo, atterra nella banalità del prodotto hollywoodiano di serie trasformando la fragile signora in Wonder Woman (e qui si torna a Red Eye). Catarsi taroccata, indegna dell'immagine "impegnata" che ci eravamo fatti di Jodie.
Da La Repubblica, 4 novembre 2005


di Roberto Nepoti, 4 novembre 2005