leo pellegrini
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domenica 16 aprile 2006
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un gran pasticcio che non coinvolge
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Varie e diverse le interpretazioni date dalla stampa specializzata a questo film.
Ritratto disincantato della realtà contemporanea; analisi impietosa della fine degli anni Cinquanta; metafora della coppia Dean Martin-Jerry Lewis; riflessione sui meccanismi distruttivi dell'industria dello spettacolo; denuncia dello show-business che spinge inevitabilmente a commettere eccessi; allusione all'omosessualità latente in molte famose coppie virili; demistificazione del marcio che sta dietro le risate e il buonismo del mondo televisivo; affresco dell’ipocrisia del cuor d'oro americano; disegno della ambiguità del reale, dell'apparenza e assenza di certezze; omaggio ai thriller di James Ellroy; tentativo di rinnovare il troppo abusato noir…
Diversi e contrastanti i giudizi: chi ha parlato di "delusione" e di "film confuso" e chi invece ha affermato che si tratta di "un esempio di ottimo cinema".
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Varie e diverse le interpretazioni date dalla stampa specializzata a questo film.
Ritratto disincantato della realtà contemporanea; analisi impietosa della fine degli anni Cinquanta; metafora della coppia Dean Martin-Jerry Lewis; riflessione sui meccanismi distruttivi dell'industria dello spettacolo; denuncia dello show-business che spinge inevitabilmente a commettere eccessi; allusione all'omosessualità latente in molte famose coppie virili; demistificazione del marcio che sta dietro le risate e il buonismo del mondo televisivo; affresco dell’ipocrisia del cuor d'oro americano; disegno della ambiguità del reale, dell'apparenza e assenza di certezze; omaggio ai thriller di James Ellroy; tentativo di rinnovare il troppo abusato noir…
Diversi e contrastanti i giudizi: chi ha parlato di "delusione" e di "film confuso" e chi invece ha affermato che si tratta di "un esempio di ottimo cinema".
“Where the truth lies” ( Dove la verità mente), sembra la ricostruzione di un complicato puzzle, strutturato in un intricato gioco di flash-back, un gran pasticcio non sempre chiaro in tutti gli snodi narrativi e che crea un certo disorientamento nello spettatore. Una trama sulla carta interessante ma che stranamente non avvince, non coinvolge.
Formalmente molto bello, visivamente ricco, il film si avvale della interpretazione superlativa di Kevin Bacon e Colin Firth (il primo quando sarà preso in considerazione dall’Academy per una strameritatissima nomination?) ma è rovinato da una Alison Lohman completamente fuori parte, dalla recitazione impressionantemente piatta e monocorde (una staticità e inespressività che finiscono con l’irritare man mano che l’azione va avanti).
La sceneggiatura, a tratti forzata e poco naturale, presenta carenze di vario tipo e passaggi incoerenti.
La descrizione di un mondo violento e sensuale risulta alla fine ripetitiva e inconcludente, poco intrigante, non convincente né appassionante.
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nalipa
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venerdì 11 febbraio 2011
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un altro titolo non troppo azzeccato...
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Tratto da un romanzo il film di Egoyan mi é parso assolutamente dignitoso...si fa seguire via via che si snoda la vicenda, talvolta poco lineare, Firth bravo ma Bacon da premio, almeno secondo me...trovo sia uno di queli attori (ce ne sono altri) che non capisco perché non hanno la ribalta che si meritano.
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gadman
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giovedì 30 luglio 2015
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dietro alla facciata
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Un bel film, due grandi attori e un bravo regista! Belle la personalità dei due comici, sono splendidi davanti al pubblico e spenti nella loro vita privata a telecamere spente, l'omicidio della ragazza mette a nudo tutte le loro debolezze ed umanità, aspetti che l'industria dello spettacolo e della finzione non accetterebbe di loro e che pertanto non devono emergere! Un film che non poteva essere ambientato oggi, in quanto attraverso internet tutti sanno di tutti! Ma negli anni 50 dove la televisione la faceva da padrone e ci s'illudeva di credere a tutto quello che la TV proiettava, nel bene e nel male! Il finale è un po' a sorpresa, ma l'amarezza dello spettatore e ' nel vedere che gli eroi della TV sono pura finzione e illusione!
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elgatoloco
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martedì 7 luglio 2015
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intelligentemente inquietante
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Atom Egoyan è tra i registi contemporanei certo uno dei più interessanti, un"creativo"che però sa organizzare un impianto scenografico e narrativo estremamente rigoroso(senza soluzioni tecniche particolarmente"d'avanguardia"o "innnovative", dove tali espressioni rischiano comunque, ormai, di essere inadeguate già in partenza...) e all'interno di questo sa far emergere le"false verità"o meglio il non-detto, non-dicibile, il"sotteso", ciò che non è opportuno dire-mettere "in scena", dare ad extra. Verità inconfessabili, qui, nell'ambiente tetramente"moral suasion"di"Telethon" anni Cinquanta, ma più in generale quanto non si rivelerebbe, forse, neppure a se stessi.
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Atom Egoyan è tra i registi contemporanei certo uno dei più interessanti, un"creativo"che però sa organizzare un impianto scenografico e narrativo estremamente rigoroso(senza soluzioni tecniche particolarmente"d'avanguardia"o "innnovative", dove tali espressioni rischiano comunque, ormai, di essere inadeguate già in partenza...) e all'interno di questo sa far emergere le"false verità"o meglio il non-detto, non-dicibile, il"sotteso", ciò che non è opportuno dire-mettere "in scena", dare ad extra. Verità inconfessabili, qui, nell'ambiente tetramente"moral suasion"di"Telethon" anni Cinquanta, ma più in generale quanto non si rivelerebbe, forse, neppure a se stessi... Interpreti adeguati al ruolo, cambi di prospettiva temporale sempre molto adeguati, senza impennate inutilmente retoriche... El Gato
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elgatoloco
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lunedì 4 luglio 2016
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nulla come appare, squarciando veli...
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L'uso del"flash back non invasivo", ossia quasi"indiretto", senza uno stacco forte tra presente e ricordo del passato(tre lustri prima, per l'esattezza) contraddistingue questo film di Atom Egoyan, che svela progressivamente l'inganno , meglio la finzione("Thuth Lies"), il "velo di Maja"da squarciare per far luce e raggiungere una"verità"che rimane, comunque, in qualche modo, vomitevole, da deprecare-da forcludere. Credo che una visione psicoanalitica, ma da intendersi in senso gnoseologico, non banalmente da"terapia di primo approccio"sia la chiave per intendere il film, nella visione della giornalista, ex-"miracolata"da Telethon che si relaziona con la questione, dopo aver avuto relazioni intime con i due"entertainers"incontri molto ravvicinati e non essere passata indenne dalle profferte e dai ricatti del"terzo incomodo", che (ma si capirà alla fine, dopo qualche intuizione a metà film.
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L'uso del"flash back non invasivo", ossia quasi"indiretto", senza uno stacco forte tra presente e ricordo del passato(tre lustri prima, per l'esattezza) contraddistingue questo film di Atom Egoyan, che svela progressivamente l'inganno , meglio la finzione("Thuth Lies"), il "velo di Maja"da squarciare per far luce e raggiungere una"verità"che rimane, comunque, in qualche modo, vomitevole, da deprecare-da forcludere. Credo che una visione psicoanalitica, ma da intendersi in senso gnoseologico, non banalmente da"terapia di primo approccio"sia la chiave per intendere il film, nella visione della giornalista, ex-"miracolata"da Telethon che si relaziona con la questione, dopo aver avuto relazioni intime con i due"entertainers"incontri molto ravvicinati e non essere passata indenne dalle profferte e dai ricatti del"terzo incomodo", che (ma si capirà alla fine, dopo qualche intuizione a metà film...)ha un ruolo non solo funzionale-strumentale nella vicenda. Rendendo anche efficacemente il divario tra anni CInquanta e anni Settanta, a livello di morale corrente e non solo, anche di"spettacolarità diffusa", Egoyan, che trae spunto da un romanzo, della cui qualità e del cui valore storico-documentario non si sa molto, ha il merito fondamentale di non fermarsi allo"scandalismo"(droghe etc.), ma di scavare, dove non può non sovvenire lo shakespeariano"Hai lavorato bene, brava talpa!". Interpreti, da Kevin Bacon, Colin Firth, Alison Lohman, Rachel Blanchard in poi, ma arrivando poi a tutti/e gli/le altri/e, ben consapevoli dell'opera da realizzare e poi effettivamente realizzata, non solo(come si suol dire semplificando)attenti al"ruolo", alla"parte". El Gato
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a.l.
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lunedì 24 aprile 2006
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il dolce domani
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La verità giace da qualche parte e mimetizzandosi nei volti e nei gesti consueti mente: questo è il senso del titolo, “Where the truth lies”, tradotto in italiano con un banale”False verità”, dell’ultimo film del regista armeno-canadese Atom Egoyan, giacché lie in inglese significa sia giacere sia mentire. Forse l’uomo potrebbe vivere beatamente ignaro, se, come nelle tragedie greche, non ci fosse il destino a mandare in frantumi la fragilità delle apparenze e a scompigliare la loro linearità e decifrabilità: ne “Il dolce domani”, ispirato a un romanzo di Russel Banks è il terribile incidente mortale di un autobus carico di bambini, ne “Il viaggio di Felicia”, tratto da un racconto lungo di William Trevor, è l’incontro di una giovane con un maniaco omicida, qui è il cadavere di una cameriera trovato nella suite di due famosi entertainer statunitensi, che dopo il misterioso evento interrompono i loro rapporti di lavoro e di vita.
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La verità giace da qualche parte e mimetizzandosi nei volti e nei gesti consueti mente: questo è il senso del titolo, “Where the truth lies”, tradotto in italiano con un banale”False verità”, dell’ultimo film del regista armeno-canadese Atom Egoyan, giacché lie in inglese significa sia giacere sia mentire. Forse l’uomo potrebbe vivere beatamente ignaro, se, come nelle tragedie greche, non ci fosse il destino a mandare in frantumi la fragilità delle apparenze e a scompigliare la loro linearità e decifrabilità: ne “Il dolce domani”, ispirato a un romanzo di Russel Banks è il terribile incidente mortale di un autobus carico di bambini, ne “Il viaggio di Felicia”, tratto da un racconto lungo di William Trevor, è l’incontro di una giovane con un maniaco omicida, qui è il cadavere di una cameriera trovato nella suite di due famosi entertainer statunitensi, che dopo il misterioso evento interrompono i loro rapporti di lavoro e di vita. Quale forza oscura anima gli eventi? Male e perversione sono connaturati all’animo umano o provengono da un enigmatico altrove che ne corrode la naturale innocenza? Dopo l’infelice incursione in territori estranei di “Ararat”, Egoyan, torna a cercare nelle fonti letterarie la materia con cui alimentare la sua visione del mondo: il cielo di carta nel teatrino di marionette si squarcia all’improvviso e lì vale la pena di far luce, giacché attraverso strappi e lacerazioni è possibile vedere l’esistenza per quello che è o potrebbe essere al di fuori di convenzioni e mascheramenti. In “False verità” il punto di partenza è la vicenda raccontata da un libro omonimo di Rupert Holmes, ma sicuramente non è il gossip su due celebri attori degli anni ‘50( si pensa a Jerry Lewis e Dean Martin) ad interessare il regista, quanto l’esemplarità della storia in termini di riflessione etica. L’operazione di potatura del superfluo nella trasposizione dalla pagina allo schermo avrebbe dovuto essere ancora più coraggiosa, ma qualche ridondanza espressiva non oscura l’attorcigliarsi del nodo scorsoio attorno al collo dei tre protagonisti: se i fasti del mondo reale, un universo di luci, di buoni sentimenti, di maratone televisive benefiche, di candide fanciulle con l’abitino di “Alice nel Paese delle Meraviglie”, di celebrità e idealizzazioni individuali e collettive, sono uno specchio deformante e sfocato, in cui si scambiano solo monete false, dove giace/ mente la verità? Il giallo classico, il delitto della camera chiusa, ha la soluzione ironicamente topica, ma la trama autentica ha il suo allarmante epilogo in un’altra dimensione, quella invisibile e sommersa: un tormento inconfessato uccide giorno per giorno la coppia di buffi clown del tubo catodico, la bambina poliomielitica da loro salvata cresce e infrange i suoi idoli assieme all’immagine di se stessa, l’esistenza è una difficile e interminabile lotta per fingersi un bravo ragazzo senza nessuna possibilità di esserlo, e persino in paradiso i beati udranno le urla dei dannati dall’inferno. Dunque più che un thriller o una fedele ricostruzione d’epoca un racconto di formazione, nel quale una voce fuori campo riferisce la sua discensio ad inferos e ne riemerge con la scoperta che disseppellire i segreti porta sofferenza e dolore. La sola pace è quella dell’albero con i rami protesi verso il cielo, coltivato da una madre in ricordo della figlia perduta….il dolce domani della nostra innocenza.
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antonello villani
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martedì 25 aprile 2006
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un noir psichedelico dalle troppe ambiguità
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“Nulla è come sembra, ci sono tante verità, siamo tutti colpevoli, i postulati sui cui è fondato lo showbiz americano. Da questa premessa nasce “False verità”, un thriller dove non esistono buoni né cattivi perché l’ambiguità è un imperativo categorico a cui nessuno può sottrarsi. Il regista di origini armene s’ispira al romanzo di Rupert Holmes riscrivendo la sceneggiatura per due mattatori che calcano la scena alla fine degli anni ‘50: Lanny Morris e Vince Collins, presentatori televisivi di quel tour de force chiamato Telethon, cadono nell’oblio dopo che una ragazza li ha sorpresi ad amoreggiare in una stanza d’albergo. Sì, perché la cameriera in questione è pure ambiziosa e non ci mette molto a ricattare i nostri protagonisti, salvo ritrovarsi affogata nella vasca da bagno.
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“Nulla è come sembra, ci sono tante verità, siamo tutti colpevoli, i postulati sui cui è fondato lo showbiz americano. Da questa premessa nasce “False verità”, un thriller dove non esistono buoni né cattivi perché l’ambiguità è un imperativo categorico a cui nessuno può sottrarsi. Il regista di origini armene s’ispira al romanzo di Rupert Holmes riscrivendo la sceneggiatura per due mattatori che calcano la scena alla fine degli anni ‘50: Lanny Morris e Vince Collins, presentatori televisivi di quel tour de force chiamato Telethon, cadono nell’oblio dopo che una ragazza li ha sorpresi ad amoreggiare in una stanza d’albergo. Sì, perché la cameriera in questione è pure ambiziosa e non ci mette molto a ricattare i nostri protagonisti, salvo ritrovarsi affogata nella vasca da bagno. Così, quindici anni dopo, ci pensa un’aspirante giornalista a riaprire il caso con una serie di interviste che fanno emergere particolari scottanti sulla vita dei beniamini del pubblico. Noir a corrente alternata con molti e forse troppi colpi di scena, “False verità” è una storia intricata dove è difficile orientarsi anche per chi è avvezzo ai doppi giochi; i protagonisti mostrano mille volti, si divertono come matti gigioneggiando sul palco, soffrono di ansia e depressione, si danno ai bagordi, eccedono con droga, sesso e rock'n roll. In un percorso narrativo a metà strada tra biografia e giallo tout court, Atom Egoyan si diverte a lasciare piccoli indizi, un colpo di scena ne nasconde un altro e poi un altro ancora, sino ad arrivare alla sorprendente verità. Regia raffinatissima, fotografia seppiata vagamente retrò, musiche da autentico trip anni ‘70 ed attori -Colin Firth, meno inglese del solito, affiancato da uno stupefacente Kevin Bacon- ad alta la tensione. Comicità e dramma intervallati da flash back che arrivano senza preavviso in un film la cui unica nota stonata è la voce off di cui non si capisce appieno il significato: talvolta fastidiosa, talvolta illuminante ha la presunzione di spiegare l’inspiegabile. Ma pur con qualche perplessità, Egoyan convince il pubblico con un puzzle da antologia. Ed è questa l’unica cosa che conta.
Antonello Villani
(Salerno)
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