VENTO DI TERRA
Più che un film, Vento di Terra, di Vincenzo Marra,potrebbe sembrare lo svolgimento scolastico di un compito assegnato agli allievi di un corso di cinematografia:Girare un lungometraggio di soggetto veristico.
Il dolore e i problemi sociali che investono i protagonisti – tutti presi dalla strada - sono racchiusi in un pamphlet didascalico dove ogni cosa accade come esempio paradigmatico di un’ingiustizia e di una malasorte talmente esasperate, da sembrare una mannaia fatta calare da un immodificabile castigo divino.
Tutto è mostrato sopra le righe e la cupa attitudine all’esistenza dei protagonisti è scolpita in volti sempre così avviliti e avvilenti, da rivelare, da parte del supposto allievo, uno zelo che non mancherebbe certo di suscitare l’approvazione dei suoi maestri: dopo la buona prova di Tornando a casa (2001), purtroppo ci sembra che Marra stia già cadendo nel manierismo.
Una famiglia napoletana lotta per la sopravvivenza: il padre ha delle grosse angustie che, pur non espressamente chiarite, sono sicuramente collegate alla precarietà del lavoro; la madre perde gli occhi a cucire a macchina anche di notte; il figlio maschio fa l’apprendista da un fabbro ma guadagna pochissimo e aiuta la madre portando col motorino gli abiti da lei confezionati o sistemati ai committenti; la primogenita cerca da tempo lavoro, ma senza fortuna. C’è, poi, un padrone di casa che vuole rientrare in possesso dell’appartamento dato in affitto alla famiglia e minaccia ritorsioni.
Il padre muore d’infarto; il figlio, Vincenzo, rischia d’invischiarsi con la malavita e si becca la predica, giusta, ma talmente scontata e paternalistica da sembrare un saggio di recitazione uscito dalle pagine di Cuore, da parte di un amico del padre. Vincenzo, allora, decide di entrare nell’accademia militare e qui assistiamo ad una pallidissima copia, che diventa quasi una parodia, di Full Metal Jacket di Stanley Kubrick. La figlia, non più ostacolata dal divieto paterno, se ne va a Cassino, dove uno zio pressoché sconosciuto la fa entrare alla FIAT, ma, ovviamente, pretende da lei una ricompensa. La madre è depressa, Vincenzo - siamo nel 1999 - va in Kosovo e si becca ( indovinate che cosa?) le radiazioni da uranio impoverito…
C’è altro?
Il libretto, pardon, la sceneggiatura non è di Francesco Maria Piave, né di Salvatore Cammarano, e la musica, sfortunatamente, non è di Giuseppe Verdi.
Enzo Vignoli,
17 novembre 2004.
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