Roberto Nepoti
La Repubblica
A Venezia, dove era in concorso, alcuni dei festivalieri più esigenti storcevano il naso: ancora un film iraniano proveniente dalla "factory" Makhmalbaf; ben diretto e ben fotografato; con bambini (troppo?) belli, poetico e struggente... che noia! E' un po' come dire che, a mangiar caviale tutti i giorni, ti viene voglia di pane e salame: ma non sembra proprio la più solida delle argomentazioni per rifiutare un bel film come Piccoli ladri.
Due bimbi, fratello e sorella, errano per le strade di Kabul. Salvano un cane randagio, che altri ragazzi vorrebbero massacrare per vendicarsi simbolicamente del "nemico". Poi entrano in prigione: per loro la cella della madre, accusata d'adulterio dal marito (un mullah, anche lui in carcere) rappresenta la protezione dal freddo e dai pericoli della strada.
Un giorno, il direttore vieta che i figli raggiungano le madri nel luogo di pena: per potervi accedere di nuovo, i fratellini dovranno compiere un reato. Falliscono; ed è con un'ironia amara che il film ci mostra l'esito dei vari tentativi. Finché un altro "sciuscià" non dà loro quello che sembra il consiglio giusto: al cinema del bazar c'è un film italiano che insegna come farsi arrestare. Si tratta di Ladri di biciclette; e i bambini, benché il cassiere li consigli di barattarlo con un blockbuster americano, lo vanno a vedere. All'uscita, il ragazzo ruba una bicicletta; ma la citazione - questa volta indiretta - della scena del camion in "Roma città aperta" non lascia (vedere per credere) alcun margine alla speranza.
Da La Repubblica, 24 settembre 2004
di Roberto Nepoti, 24 settembre 2004