La passione di Cristo

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Un film di Mel Gibson. Con Jim Caviezel, Maia Morgenstern, Monica Bellucci, Rosalinda Celentano.
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Titolo originale The Passion of the Christ. Religioso, durata 126 min. - USA, Italia 2004. MYMONETRO La passione di Cristo * * * - - valutazione media: 3,21 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Spudorata esibizione di violenza anticristiana. Valutazione 1 stelle su cinque

di Great Steven


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martedì 20 dicembre 2016

 

LA PASSIONE DI CRISTO (USA, 2003) diretto da MEL GIBSON. Interpretato da JAMES CAVIEZEL, MAIA MORGENSTERN, MONICA BELLUCCI, CLAUDIA GERINI, ROSALINDA CELENTANO, HRISTO SHOPOV, HRISTO JIVKOV, TONI BERTORELLI, SERGIO RUBINI, MATTIA SBRAGIA, FRANCESCO CABRAS, GIOVANNI VETTORAZZO

Distribuito in tutti i Paesi del mondo con la medesima versione (coi sottotitoli adeguati per la relativa nazione) parlata in latino e aramaico, premiato con due Nastri d’Argento ai costumi (Maurizio Millenotti) e alla scenografia (Francesco Friggeri) e molto meno meritatamente con un successo mondiale al box office, è un film che è stato definito in tutti i modi, osannato apertamente da un lato e criticato con estrema asprezza dall’altro, ma di certo gli si può negare senza troppi torti la denominazione di "cristiano". Perché il suo messaggio non ha proprio la più minuscola briciola di essenza religiosa. Raccontare le ultime dodici ore della vita di Gesù di Nazareth, col prologo nel Getsemani immerso in un’oscurità lugubre e maestosa (ma tutt’altro che poetica), una parte centrale che sembra interminabile – soprattutto per l’esposizione gratuita e senza filtri di una violenza pazzesca, enorme e ingiustificabile – cui spetta il compito di narrarne il sofferente calvario, e un miserabile minuto finale che funge da epilogo, nel quale vien mostrata la Resurrezione. E pensare che non son mancate personalità influenti e di moralità non facilmente destrutturabile come alcuni attuali cattolici da Controriforma, nemici (vescovi inclusi) del Concilio Vaticano II e seguaci di Monsignor Lefebvre che, esaltandosi e commuovendosi, han raccomandato questo film splatter sulla passione del Messia. Ora, a prescindere dalla sensibilità di ogni critico o spettatore considerato singolarmente, e anche accantonando un momento il comune senso del pudore per esprimere un giudizio obiettivo, quali sentori di cristianità e religione (quantomeno in senso stretto) si possono percepire in una pellicola che, per tre quarti della sua durata, passa al tritacarne il suo protagonista, compiacendosi di mostrare i ripetuti e sempre più efferati metodi di tortura e colluttazione che riceve da volgari legionari romani, senza contare le ancora più numerose umiliazioni verbali di cui lo stesso diventa bersaglio nelle tappe dell’ultimo tratto della sua vita? Che, fra l’altro, risulta soave e istruttiva per come viene narrata nelle Sante Scritture durante una qualsivoglia celebrazione eucaristica, mentre qui appaiono soltanto come i punti obbligati consecutivi di un gioco al massacro che cancella con ossessione, e magari pure in maniera non intenzionale, ogni traccia di purezza, perdono e consolazione. Storicamente inattendibile, esteticamente indegno, tutto fuorché strappalacrime nella sua ricerca maniacale di un dolore immenso da raffigurare, è un’opera talmente brutta, e non solo per il discorso della violenza, che anche recriminarne la mancanza di buongusto, gli errori storici e l’inadeguatezza del come è recepita la rappresentazione della tortura, altro non è che uno spreco di tempo da cui si può trarre, come unico beneficio, il pensiero che un simile scempio cinematografico poteva essere fatto centomila volte meglio e che magari è venuto così contrariamente alle aspettative dei suoi autori (Gibson è anche sceneggiatore, coadiuvato da Benedict Fitzgerald). Da notare che i registi consapevoli si pongono da sempre il tema della tortura, attuale malgrado lo scorrere del tempo, reale e filmico, e soprattutto i modi per rappresentarla. L’attore-regista australiano s’è convinto di dover fornire una parola religiosa prendendo ad esempio e modello la storia più dolorosa, straziante ed educativa che i testi sacri continuano a raccontare nonostante i cambiamenti d’epoca nella stessa struttura ecclesiastica dell’intero pianeta, ma mescolando la discutibilità dei cenni storici (un Ponzio Pilato così garbato e condiscendente non stona certo poco) con l’istupidimento adoperato nei confronti degli Antichi Romani (considerati all’unanimità da personalità storiche di rilievo come i nazisti dell’antichità, e qui ritratti con una brutalità inattendibile), perde di vista l’obiettivo e finisce solamente per imbastire un obbrobrio antisemita, anticristiano e opposto ad ogni logica di creatività, coerenza, monitoraggio e valore artistico di un prodotto. Come se non bastasse, i censori italiani non hanno nemmeno posto il divieto di visione ai minori di diciotto anni, reputandolo un film proponibile anche ai bambini, e qui è utile stendere un pietoso velo su possibili sperequazioni. Consolano unicamente le interpretazioni degli attori, in particolar modo gli italiani: la Maria Maddalena della Bellucci (più intensa ed espressiva del solito), il Dimaco di S. Rubini (molto risicato, ma che riesce a ritagliarsi un piccolo e fruttifero angolo di espressione), il Satana di R. Celentano (che avanza come un macabro fantasma nero a sottolineare gli istanti più carichi di tensione e suspense), la Claudia della Gerini (moglie accorata del governatore della provincia palestinese Ponzio Pilato, maldisposta verso la flagellazione di colui che si proclama re dei Giudei) e, fra gli stranieri, una Maria abbastanza credibile (Morgenstern abile nel riprodurre sul suo volto l’ansia opprimente e il dolore incommensurabile della Madre di Gesù) e, suo malgrado, anche il Jeoshua di Caviezel, cui donano i rari occhi giallognoli. Totalmente girato in Italia, fra Roma e Matera, come specificato anche nei titoli di coda.

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