VERA DRAKE
La cosa che ci ha maggiormente emozionato alla visione del film vincitore del Leone d’oro a Venezia 61. è stato l’equilibrio con cui il regista Mike Leigh ha saputo dirigere una storia che, avendo implicazioni sociali assai rilevanti, è comunque un film intimista che si gioca tutto sulla personalità della protagonista, dall’umanità semplice e sincera. Vera Drake si trova a professare naturalmente, senza urlare, la sua verità; in silenzio, non per paura ma perché svolge il compito sociale di aiutare le donne in difficoltà, cioè di farle abortire, con il puro intento di farlo, senza per questo pensare di dover ottenere un compenso o di infrangere una legge, di cui non si coglie con precisione se sia a conoscenza, ma che, più probabilmente, lei non può capire nella sua semplicità e purezza d’animo.
Il senso di Il segreto di Vera Drake o, meglio, l’animo di Vera Drake ci è parso principalmente questo. Ella non intende sfidare niente e nessuno col suo disarmante candore, di fatto finisce però col mettere il dito sulla piaga di una legislazione carente e comunque ferma al 1861 – il film è ambientato nel 1950.
Mike Leigh non fa mai di Vera Drake un film di protesta. Proprio per questo riesce a far emergere con vigore l’ipocrisia sociale che consentiva alle classi altolocate di ricorrere alla pratica dell’aborto, in modo legalizzato, pagando cifre elevatissime per finte visite che denunciavano forti disagi mentali. Il problema delle donne che non riescono a fare un altro figlio dopo averne già sfornati altri 7 o di chi non riesce a vivere in 6 in due stanze è già, di per sé, così evidente, che non ha bisogno di essere urlato e infatti Vera Drake non coglie il male che sta facendo finché non glielo dipingono come tale, finché le sue azioni non vengono in tal modo bollate. Anche a quel punto tutta la sua tensione esplode sì, ma intimamente, rimane quasi dentro di sé e il suo pianto è causato dal dolore che dà ai suoi familiari e dalla vergogna di dover andare in prigione, ma non c’è alcun cenno in lei di pentimento per quello che ha fatto da circa vent’anni.
Non è la fierezza che le impedisce di ravvedersi, ma semplicemente, ribadiamo, il non capire perché debba sentirsi in colpa. Tutto quello che consegue al momento in cui la sua attività clandestina viene alla luce, è comunque analizzato dal regista solo per i riflessi che questo ha sulla protagonista: per questo ci pare di dover confermare che Vera Drake sia una storia intimista. La drammatica delicatezza del tema trattato è resa con grande sapienza da Mike Leigh, che fa giostrare tutto il film attorno all’equilibrio che sa conferire soprattutto la recitazione di grande intensità della protagonista Imelda Staunton - vincitrice della Coppa Volpi - una volta che debba trasferire la sua semplicità di donna appartenente ad una famiglia non ricca ma unita, nell’evidenza di una realtà più grande della sua; di avere scandagliato una complessità che non le appartiene, in quanto per lei è tutto molto semplice, pragmaticamente chiaro.
Di grande rilevanza è anche la ricostruzione di un ambiente normale, in cui risalta una classe sociale che si barcamena come può, senza covare un sordo progetto contestatario che sarebbe stato del tutto fuori tema in questa storia e descritta senza alcun patetismo – la goffa bruttezza della figlia di Vera e del suo inatteso fidanzato ha qualcosa di oggettivo, di comunque contingente ad una situazione imprevedibile ed insperata e rimane limitata a quei due personaggi, che vagano per le strade simili a due statuine del presepe.
Enzo Vignoli,
16 novembre 2004.
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