Harry Potter e il prigioniero di Azkaban

Lietta Tornabuoni

Tuoni, fulmini e saette, cieli plumbei, micro castello sotto il diluvio,grotte, notte, buie foreste, corvi, stanze immerse nell’ombra, fantasmi oscuri: come il libro di J. K. Rowling da cui è tratto, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban di Alfonso Cuarón, terzo film della serie, è anche il più dark. Il mago ragazzino occhialuto affronta le dolorose rivelazioni sul suo passato, come Batman rimpiange i genitori scomparsi; e fronteggia il disagiato passaggio dell’età, dall’infanzia alla prima adolescenza.
Grandi invenzioni, però. L’ippogrifo Fierobecco, metà cavallo e metà rapace, bellissima e buona creatura alata di colore grigiochiaro. I Dissennatori, terrificanti guardie, esseri metafisici dall’effetto paralizzante fatti di nebbia nera che si nutrono delle sensazioni belle altrui e lasciano alle persone soltanto cattivi ricordi, malinconie. Un professore che con la luna piena diventa lupo mannaro, ma senza pelo e capace di correre anche su due zampe. Quadri cinque-seicenteschi, appesi alle pareti della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, in cui i personaggi si muovono, mangiano la frutta ritratta accanto a loro, protestano contro chi fa chiasso disturbando il sonno. E poi, naturalmente, il Paiolo Magico, la Stamberga Strillante, l’Albero Picchiatore, la Mappa del Malandrino, l’andirivieni del Tempo che confonde
passato e presente. Un prigioniero è fuggito dalla prigione di Azkaban, con l’intenzione, pare, di uccidere Harry Potter, che ripristina le verità e si salva.
Novità strutturali, nella sempre affascinante storia? Mentre in Harry Potter e la pietra filosofale e Harry Potter e la camera dei segreti l’ambiente della scuola, gli alunni e le loro divise erano dolcemente antiquati ed evocavano l’Ottocento inglese, stavolta i ragazzi protagonisti sono in jeans e risultano crudelmente modernizzati.
Tra le nuove magie di Harry Porter, una è irresistibile: sarebbe così bello se i peggiori mostri potessero davvero venire vanificati semplicemente gridandogli: “Ridiculus!”.
Da L’Espresso, 17 giugno 2004


di Lietta Tornabuoni, 17 giugno 2004