Roberto Nepoti
La Repubblica
A partire dalla scena d'apertura, ci sono in Exils alcune bellissime inquadrature che, a Cannes, devono avere persuaso Quentin Tarantino a premiare Tony Gatlif con il trofeo per la migliore regia. Il resto è praticamente la "summa" della poetica del cineasta gitano: una sorta di remake di "Gadjo dilo, lo straniero pazzo" (1997) con tutte le virtù e i (non troppi) difetti del cinema di Gatlif.
Zano e Naima si amano, e sono contenti. Un giorno lui propone a lei di mettersi insieme "on the road": meta Algeri, sua terra d'origine (la stessa del regista), passando per l'Andalusia e il Marocco. Il film è il racconto di una ricerca; ma fatta col cuore leggero, tra incontri pittoreschi al ritmo della technomusic e del flamenco. Non senza, però, qualche momento drammatico: come quando Zano ritrova le sue radici familiari, mentre Naima continua a sentirsi straniera ovunque; o nella sequenza della "trance" finale.
Un road-movie sull'identità colorato e sensuale, al confine tra documentario (qual era il film forse più bello di Tony, "Latcho drom") e cinema narrativo, col fascino del vagabondaggio e della scoperta. Quel che c'è di debole, invece, riguarda la trama esile e la stringatezza dei dialoghi, cose rispetto alle quali l'autore preferisce lasciar errare il proprio sguardo benevolo su corpi e paesaggi; peccato che la ricerca dell'essenziale posi anche su cose la cui rappresentazione su uno schermo rischia di risultare, alla fine, troppo elusiva. (r. n.)
Da La Repubblica, 26 novembre 2004
di Roberto Nepoti, 26 novembre 2004