Roberto Nepoti
La Repubblica
Il nome di due tigri nel cast è tutto fuorché casuale. Sedici anni dopo "L'orso", Annaud si conferma l'unico regista in circolazione capace di far recitare attori non-umani, rendendoli protagonisti di un "film di fiction" animale lontano le mille miglia dal documentario.
Indocina, durante il dominio coloniale. Due tigrotti, Kouma, e Sangha, giocano beatamente nel sublime scenario di Angkor, protetti dalla jungla e dai grandi felini. Finché un ex-cacciatore, riciclato in tombarolo di antiche statue, non arriva a perturbare la quiete facendo precipitare gli eventi. Imprigionate e separate, le due tigri vanno incontro a sorti diverse: l'una si esibisce in un circo, l'altra finisce in una specie di zoo reale per passatempi cruenti.
Anni dopo, circostanze drammatiche avranno l'effetto di riunire le due fiere. Anche a voler dare per scontate le prodezze di una lavorazione senz'altro difficile, bisogna riconoscere ad Annaud un non piccolo merito: quello di evitare l'eccesso di antroporfizzazione degli animali, con cui casa Disney (attraverso cartoon e film con animali in carne e ossa) ha colonizzato l'immaginario di intere generazioni di spettatori.
A un altro tipo di colonialismo, quello storico della Francia sull'Indocina, il regista s'oppone con altrettanta energia. Mettendo in scena i felini come autentici eroi da romanzo, con Due fratelli Annaud ci offre un film semplice, riposante ed emozionante allo stesso tempo; dove, a grattare un po' la crosta, si può anche trovare un sottotesto allegorico.
Da La Repubblica, 1 ottobre 2004
di Roberto Nepoti, 1 ottobre 2004