Roberto Nepoti
La Repubblica
Tra i numerosi, piccoli film di pregio che fanno a spinte per conquistarsi un po' di spettatori pre-natalizi, Vodka Lemon si distingue per la delicatezza del tocco e per quel tanto di bizzarrìa che vi circola dentro (agli occhi, almeno, dello spettatore occidentale).
In un villaggio curdo del Caucaso la vita è grama. Una pensione di vecchiaia ammonta a sette dollari; c'è chi non ha i soldi del biglietto per viaggiare su un pullman scassato; la vita sociale consiste nel comprare vodka in un chiosco isolato tra le nevi, per ubriacarsi poi in solitudine.
Ex-ufficiale dell'armata rossa, sperso tra la fine del socialismo reale e l'inizio di cosa non si sa, il vedovo Hamo deve vendersi prima la tv, reperto dell'era sovietica, poi la divisa. Frattanto Nina, vedova anche lei, perde il lavoro al chiosco di alcolici. Eppure - nella più grama delle situazioni e nella seconda parte della vita - c'è ancora posto per l'amore. Andando a visitare i rispettivi defunti al cimitero, i due cuori solitari s'innamorano pudicamente.
Vincitore a Controcorrente, il concorso "bis" della Mostra di Venezia, Vodka Lemon si svolge in un contesto ghiacciato; ma via via, emana sempre più calore. In un'economia d'inquadrature fisse, parche di primi piani, il regista curdo iracheno Hiner Saleem mescola sapientemente dramma e ironia, miseria e ottimismo, solitudine e amore; apre su una scena di mestizia ma chiude con un epilogo di speranza e fierezza, rappresentate da un pianoforte che non sarà mai in vendita.
Da La Repubblica, 22 novembre 2003
di Roberto Nepoti, 22 novembre 2003