Una settimana da Dio |
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Un film di Tom Shadyac.
Con Jim Carrey, Jennifer Aniston, Morgan Freeman, Philip Baker Hall, Catherine Bell.
continua»
Titolo originale Bruce Almighty.
Commedia,
Ratings: Kids+13,
durata 102 min.
- USA 2003.
MYMONETRO
Una settimana da Dio
valutazione media:
3,17
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Quali miracoli compiere se si è Dio per 7 giorni?di Great StevenFeedback: 70023 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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venerdì 16 gennaio 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
UNA SETTIMANA DA DIO (USA, 2003) diretto da TOM SHADYAC. Interpretato da JIM CARREY, MORGAN FREEMAN, JENNIFER ANISTON, STEVE CARELL, PHILIP BAKER HALL, CATHERINE BELL, LISA ANN WALTER, NORA DUNN, EDDIE JEMISON
Bruce Nolan è un giornalista televisivo residente a Buffalo che sottovaluta quel che possiede: simpatia, capacità di far ridere il prossimo, una fidanzata giusta che lo adora. Durante un servizio presso le cascate del Niagara, fa volontariamente la figura dell’idiota in diretta televisiva e ottiene la giornata peggiore della sua vita: cacciato dal lavoro in qualità di inviato speciale e con un incidente in macchina a suo carico. Bruce pensa che sia tutta colpa di Dio se lui conduce una vita del genere. Stanco e infastidito dai suoi continui lamenti, il Padreterno (nelle sembianze di un M. Freeman biancovestito) gli si presenta in forma umana e gli propone di prendere il suo posto per una settimana, con l’obiettivo di mostrargli quanto sia complicato e pieno di brighe spinose il compito di guardare il mondo dall’alto. Bruce afferra al volo questa irripetibile opportunità e sfrutta i suoi nuovi poteri a suo piacimento, ma solo in seguito comincia ad utilizzarli anche per far del bene alle persone che conosce. I duetti fra l’Onnipotente e lo scapestrato giornalista faranno capire al secondo che un’esistenza degna, pur con tutti i suoi cavilli e le sue magagne, val comunque la pena di essere vissuta. Prima di passare a recensire questa scatenata e brillantissima commedia con protagonista l’eclettico canadese Carrey, parliamo un po’ del suo percorso professionale: diventato famoso con il dittico di Ace Ventura – L’Acchiappanimali, l’attore si è poi affrancato dalla schiavitù di far ridere interpretando il sublime e soave ruolo drammatico in The Truman Show. Con Una settimana da Dio, la schizofrenica carriera di Carrey sembra aver guadagnato un solido punto d’arrivo che compie pure una corretta e accorta commistione di generi. La sua parte in questa pellicola che non lesina affatto comicità da vendere e buffoneria strampalata ma che mantiene una sua logicità, testimonia un certo addomesticamento a tratti inopportuno, ma non le si possono negare una simpatia senza eguali e un’allegria davvero contagiosa che rinsaldano fortemente il legame dell’interprete con le origini televisive e lo spettacolo divertente non semplicemente fine a sé stesso ma che è capace anche di innescare riflessioni e riempire il cuore con un sottofondo agrodolce. Per quanto concerne le altre interpretazioni, spicca M. Freeman nella parte di un Signore sornione, ironico, politicamente corretto che sfodera un’onestà e un’incontestabilità che rivaleggiano con la cocciutaggine e l’incredulità di Jim/Bruce, mettendolo alla prova in una maniera serrata e convintissima allo scopo conclusivo e fatidico di restituirgli l’amore per la vita. Evidente la provocazione lanciata dagli sceneggiatori, ovvero quella di far interpretare Dio ad un attore nero: il messaggio antirazzista contenuto in questo slancio di irriverenza appare chiaro e lampante, tanto più che il personaggio è privo della “perfezione” che ci si aspetterebbe da una divinità intoccabile ma è viceversa impregnato di un’incorruttibilità che rinuncia a credersi superiore ad altri comportamenti per dare il suo servizio gentile e disinteressato ad un’anima in pena che cerca pace e tranquillità. J. Aniston, sempre più in fuga dalla sit-com Friends, impiega buona dose della farina del suo sacco per incarnare la disincantata e procace fidanzata del protagonista con un savoir-faire acceso e moderatamente piccante. L’omaggio a Frank Capra e al suo La vita è meravigliosa era una tappa che questa corsa non poteva saltare, e difatti la citazione è risultata obbligatoria e inevitabile (si vede, circa a metà film, un frammento di questo capolavoro in bianco e nero della metà degli anni 1940). Curiosamente, e con un pizzico di impertinenza, mi permetto di affermare che questa pellicola potrebbe essere proiettata con successo nelle parrocchie per il suo valore non tanto strettamente religioso quanto incitante e propenso ad una visione del mondo in cui gli unici a compiere dei miracoli sono gli uomini, ed esclusivamente a solo, quindi, spetta l’incarico di cambiare la realtà in cui vivono perché sia sempre migliore e produca situazioni ed esperienze favorevoli in senso positivo e conciliante.
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