Perduto amor |
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Un film di Franco Battiato.
Con Corrado Fortuna, Donatella Finocchiaro, Gabriele Ferzetti, Antonino Bruschetta.
continua»
Commedia,
durata 96 min.
- Italia 2003.
MYMONETRO
Perduto amor
valutazione media:
2,67
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Roberto Nepoti
La Repubblica
Si potrebbe dire che il film scandisce i passaggi narrativi come se andasse da strofa a ritornello e poi ancora da ritornello a strofa, proprio come una canzone, della quale del resto porta il titolo. Perduto amor, la cantava il belga Adamo, nella notte dei tempi, oggi la canta Franco Battiato e su questa suggestione ha costruito una storia, o meglio non storia, che con disinvolta licenza poetica racconta i fatidici passaggi di formazione di un ragazzo (Corrado Fortuna), prima infante in una sognante e iperfemminile Sicilia anni Cinquanta, poi adolescente nella stessa Sicilia dove un maturo pigmalione (Gabriele Ferzetti) lo spinge verso più eccelsi obiettivi, poi giovane uomo nella Milano dei primi anni Sessanta alle prese con una divertente e trasfigurata, ma non troppo, società della canzone, all'ombra della leggendaria Galleria del Corso dove si facevano e disfacevano i destini della musica italiana.
Alla fine il protagonista non intraprende la carriera musicale che sembrava scontata, e qui c'è il vezzo di Battiato nel confondere le acque di una possibile lettura autobiografica. Di sicuro descrive mondi che conosce bene, ma rifiuta il realismo convenzionale e scandisce il film come un sogno, o più semplicemente come una composizione musicale che, tra divertenti sorprese, abbandoni poetici e scarti filosofici, ambisce con delicata semplicità a proporre uno sguardo profondo sull'esistenza.
I personaggi, tantissimi, sono affollati in un'equilibrata sinfonia corale, dalla quale emerge la figura della madre (Donatella Finocchiaro). Così come emergono i numerosi e divertenti camei, tra tutti quello di Maurizio dei New Dada (poi Krisma) che interpreta oggi il se stesso di quarant'anni fa, mentre la sua compagna Cristina è abbigliata da cassiera e confessa di averlo sempre amato, che dimostrano uno dei paradossi di questo film: il colto, sofisticato Battiato che si concede languidi sussulti per le canzoncine anni Sessanta di cui è lussuriosamente infarcita la colonna sonora.
Una singolarità che riflette il paradosso più generale, ovvero quello di essere il più ingenuo dei filmaker, alle prese con la sua opera prima, ma allo stesso tempo un artista maturo e più che consapevole. L'approccio è volutamente candido e disarmante, come di chi se ne frega delle convenzioni cinematografiche e privilegia il racconto di pensiero. Questo forse irriterà il pubblico più affezionato al racconto tradizionale e forse anche i cinefili che maldigeriscono queste incursioni in territori altri. Eppure Battiato riesce in un compito non facile: piaccia o meno, inventa un suo linguaggio, e non usa trucchi per nasconderlo.
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