Paolo D'Agostini
La Repubblica
In un paese e in una cinematografia dove sono stati trascurati fior di scrittori per il cinema, improvvisamente la presenza dello sceneggiatore diventa importantissima e autorialissima. Non sarà perché la firma di soggetto e sceneggiatura è di Maurizio Costanzo? Nome potente, ma sceneggiatore della domenica. Il film parla di coloro che sono stati - testualmente: anche la clinica dove va a finire il protagonista è ufficialmente dedita a questa patologia: esisterà davvero un posto del genere? - "graffiati nell'anima". E cioè? Malgrado i giri di parole e una regia (di quel gentiluomo di Alessandro di Robilant) che fa girare la testa per i via vai temporali, ecco com'è la cosa. Giancarlo Giannini è un avvocato di grande successo. Incontra una donna più giovane (Francesca Neri) con la quale, nonostante lei non indietreggi di un passo dalla propria idea di libertà, vive quattro anni d'amore totale. Solo da parte sua? Non si sa, fatto sta che di punto in bianco lei lo pianta. E l'uomo si ammala, non si sa di che, si lascia semplicemente morire. A questo punto la svolta. La donna, raggiunta dalla notizia del decesso, comincia a essere circondata da segnali della presenza del defunto, anzi il suo spirito è proprio accanto a lei. E, dopo l'iniziale sbandamento, si dichiara felice così: ha insomma imparato ad amare e ad essere amata. Onesto regista, attore di primissimo ordine, Neri in parte. Ma il film nel suo complesso è fragile come un castello di carte.
Da La Repubblica, 3 ottobre 2003
di Paolo D'Agostini, 3 ottobre 2003