Non aprite quella porta

Roberto Nepoti

Giunto sui nostri schermi con grande enfasi della distribuzione sugli incassi americani, Non aprite quella porta ha dato la scalata anche al box-office nostrano; e il risultato è tantopiù sorprendente per un film vietato ai minori.
Il gusto della paura continua a produrre i suoi frutti, insomma, mentre si annunciano altri titoli (Wrong Turn) dall'intrigo molto simile: "damsel in distress", orchi, lugubri sotterranei, auto che non vogliono partire nel momento del massimo pericolo e tutto il bric-à-brac del repertorio. Primario nelle favole, il piacere di sentirsi ripetere sempre la stessa storia è raddoppiato poi, nel caso, dal precedente omonimo: il film scritto e diretto una trentina d'anni fa da Tobe Hooper, di cui questo è un remake piuttosto fedele.
Cinque giovani fricchettoni viaggiano per il Texas su un'auto rugurgitante di ormoni e d'erba. S'imbattono in un'autostoppista suicida, poi fanno conoscenza con una famiglia di cannibali agricoli: mamma, papà e tre figli maschi, uno dei quali è soprannominato Faccia-di-pelle (si fabbrica maschere con la carne delle proprie vittime) e massacra la gente tramite motosega.
Poco tutelati dalla legge (uno dei figli è lo sceriffo del villaggio), ragazze e giovanotti fanno del loro meglio per non fornire materia prima alle nuove maschere; ma finiscono variamente male. Riuscirà la bella Erin a salvare la pelle, trascinandosi dietro un amico già mezzo affettato?
Se l'intrigo è, come si diceva, piuttosto fedele all'originale, parecchie differenze marcano il tempo passato. Alcune sono superficiali, come gli ombelichi esibiti dai personaggi femminili in omaggio alla moda globale di questi anni. Altre riguardano lo stile produttivo del film, che da una parte non può non tener conto della svolta rappresentata da The Blair Witch Project (vedi il prologo e l'epilogo), dall'altra incarta la truce storia di macelleria compagnola nel glamour di moda oggi: vedi la protagonista Jessica Biel, "immagine" di una celebre marca di prodotti per capelli, o la regia di Marcus Nispel, che arriva al lungometraggio dopo un migliaio tra commercial e video musicali (per i Simply Red, George Michael, Elton John, Brian Adams...).
Però il senso del mutamento dei tempi risiede soprattutto altrove. L'originale di Hooper era un "horror", dove la truculenza veniva più suggerita che mostrata; l'epigono invece è un "terror", con sequenze di macelleria che strappano sobbalzi e gemiti alle anime più candide (e, nel frattempo, riempiono le sale).
Da La Repubblica, 13 dicembre 2003


di Roberto Nepoti, 13 dicembre 2003