stefano franzoni
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lunedì 12 marzo 2007
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persi nel tradurre ciò che vogliamo col cuore
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Bob è un attore. Ha girato famosi film,pericolose scene d’azione,ma ora per lui sembra arrivato il tempo di fermarsi,sedersi..sorseggiare un buon whiskey accompagnato da un sigaro, come un realizzato padre di famiglia,alla sera,prima di andare a dormire. Bob ha superato la mezza età ed è sposato da 25 anni. E’ un padre di famiglia,ma non è realizzato. Ha un problema con se stesso: Bob si è perso. Charlotte è giovane,sposata da 2 anni con un fotografo che non è innamorato di lei come del proprio lavoro. Charlotte è laureata in filosofia ma non ha un’occupazione. Ha provato con la scrittura e la fotografia ma con scarsi risultati. Vive guardandosi attorno alla ricerca di una risposta ai suoi interrogativi sul futuro, eppure non sa quale sia la sua strada.
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Bob è un attore. Ha girato famosi film,pericolose scene d’azione,ma ora per lui sembra arrivato il tempo di fermarsi,sedersi..sorseggiare un buon whiskey accompagnato da un sigaro, come un realizzato padre di famiglia,alla sera,prima di andare a dormire. Bob ha superato la mezza età ed è sposato da 25 anni. E’ un padre di famiglia,ma non è realizzato. Ha un problema con se stesso: Bob si è perso. Charlotte è giovane,sposata da 2 anni con un fotografo che non è innamorato di lei come del proprio lavoro. Charlotte è laureata in filosofia ma non ha un’occupazione. Ha provato con la scrittura e la fotografia ma con scarsi risultati. Vive guardandosi attorno alla ricerca di una risposta ai suoi interrogativi sul futuro, eppure non sa quale sia la sua strada. Charlotte si è persa. Bob deve girare lo spot pubblicitario di un whiskey e si trova lontano dalla sua famiglia, dalla sua casa. Charlotte è disoccupata ed è al seguito del marito, in viaggio pe lavoro. Bob e Charlotte, americani, si trovano in una città dalla parte opposta del mondo: Tokyo. Se la vita fosse una circonferenza, loro sarebbero nel punto più distante da quello della partenza.
Forse per questo motivo entrambi non si sono mai sentiti così smarriti, così soli, così vuoti, così distanti dalla felicità. In questa Tokyo psichedelica e assordante, inondata di neon coloratissimi, Bob si deve confrontare con gli ostacoli della lingua. Lui non capisce gli altri. Gli altri non capiscono lui. A volte è la vita stessa a parlare un’altra lingua, una lingua a cui non siamo abituati e che per questo ci spaventa, ci preoccupa, ci tiene svegli nella notte, prede dei nostri pensieri. Bob e Charlotte non riescono a dormire. Sono perduti nei labirinti dei loro interrogativi, bloccati dai vetri scuri dei percorsi che hanno intrapreso e che sembrano imprigionarli e negargli la vista di cosa si può trovare oltre, oppressi dalla difficoltà di una scelta, quella che è poi sempre la più difficile da intraprendere: la ribellione, la fuga, il cambiamento. Sono persi nella difficoltà di tradurre ciò che prova il loro cuore. Ma il caso vuole che si incontrino. Che le loro vite si sfiorino. Che, conoscendosi, allaccino un sincero rapporto di amicizia ed imparino a comprendere se stessi, ritrovandosi e ritrovando un varco per la loro personale ricerca della felicità. Bob e Charlotte non parlano una lingua diversa. Soprattutto sono le loro anime a non parlare una lingua diversa. Il loro rapporto crescente li porta a correre, bere, cantare, ridere, scherzare, a rompere l’inviolabilità delle loro situazioni rigide solo all'apparenza. Bob e Charlotte riusciranno uno assieme all’altro a ritrovare il piacere per la vita. A ritrovare la strada. Ed, alla fine, quella Tokyo che per tante notti era stato solo lo sfondo della loro solitudine, apparirà meno fredda, più complice, ed i due verseranno qualche lacrima, quando arriverà il momento dell’addio. Ma, separandosi, nascerà sui loro volti un sorriso, quel sorriso che mancava da tanto, tanto tempo. E allora sarà chiaro cosa intendeva quell’ometto giapponese, nella sala d’attesa dell'ospedale, tracciando col dito una circonferenza: che la felicità si nasconde dietro l’angolo ma spesso è molto difficile da vedere, ed occorre fare tanta strada per trovarla; che per comprendere gli altri e ciò che ci circonda occorre prima capire chi siamo noi stessi, e cosa vogliamo; che, a volte, bisogna andare dall’altra parte del mondo per riuscire a chiudere il cerchio.
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[+] ottima recensione, forse troppe le 4 stelle
(di malauss�ne)
[ - ] ottima recensione, forse troppe le 4 stelle
[+] recensione buona con ottime osservazioni
(di alessandrokenpeanut)
[ - ] recensione buona con ottime osservazioni
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davide
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martedì 25 maggio 2004
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il film più delicato del 2004
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Due persone che non riescono a comunicare con i rispettivi partner, che trascorrono la loro vita senza avere uno scopo, che non sono riuscite a ottenere dalla vita ciò che hanno sempre sognato.
Da una parte un famoso attore che approfitta di ogni occasione per allontanarsi da una famiglia che lo opprime, un uomo che si è arreso a un esistenza monotona.
Dall’altra parte c’è una ragazza che non sa ciò che vuole e che capisce di non aver sposato l’amore della sua vita, che cerca da Tokio una risposta alle sue domande.
Il loro incontro darà nuova linfa ai due, non travolgerà le loro vite ma costituire di sicuro una bella esperienza da cui imparare e da ricordare nei momenti difficili, un esperienza importante proprio perché no vissuta pienamente solo un bacio nel traffico della propria vita.
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Due persone che non riescono a comunicare con i rispettivi partner, che trascorrono la loro vita senza avere uno scopo, che non sono riuscite a ottenere dalla vita ciò che hanno sempre sognato.
Da una parte un famoso attore che approfitta di ogni occasione per allontanarsi da una famiglia che lo opprime, un uomo che si è arreso a un esistenza monotona.
Dall’altra parte c’è una ragazza che non sa ciò che vuole e che capisce di non aver sposato l’amore della sua vita, che cerca da Tokio una risposta alle sue domande.
Il loro incontro darà nuova linfa ai due, non travolgerà le loro vite ma costituire di sicuro una bella esperienza da cui imparare e da ricordare nei momenti difficili, un esperienza importante proprio perché no vissuta pienamente solo un bacio nel traffico della propria vita.
Tokio è un’ambientazione scelta ad arte, si trasforma in uno specchio che riflette i due turisti, persi nelle traduzioni, che fonde la tradizione dei templi all’invasione della tecnologia.
Il film è visto da un occhio femminile molto delicato che si sofferma sui momenti “morti”: primi piani, sguardi, abitudini private, ecc…; piccoli momenti che il ritmo dei film moderni ha finito col travolgere, Sofia Coppola non ha fretta, non ha bisogno di epiche battaglie, telenovele amorose con un colpo di scena al minuto per emozionarci; una bravura sorprendente per una giovane regista al suo secondo film che ha sul groppone la pressione esercitata da una famiglia che ha contribuito a far crescere il cinema americano.
Un film che colpisce per la sua delicatezza nel duemila va premiato come è successo per la sceneggiatura agli Oscar, peccato per il mancato riconoscimento ad un ispirato Bill Murray.
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luciano
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domenica 27 novembre 2005
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ipnotiche atmosfere sospese a mezz’aria
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Attraverso ipnotiche atmosfere sospese a mezz’aria, rese con un calligrafismo che evita costantemente la strada maestra di un facile e scontato schema narrativo lineare, l’autrice opera in favore di un modo di raccontare restituito tramite aggregazioni d’immagini tese a creare consonanti gradazioni di disincantato minimalismo. La macchina da presa, pilotata con fare apparentemente pigro e disinteressato, si sofferma con estrema discrezione e reiterato pudore a frugare nei momenti d’intimità dei due protagonisti, in una devota e trattenuta commozione, quasi a voler renderci partecipi di due solitudini che procedono per binari paralleli e come per magia finiscono per sfiorarsi, contro ogni regola e fondamento di geometria elementare.
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Attraverso ipnotiche atmosfere sospese a mezz’aria, rese con un calligrafismo che evita costantemente la strada maestra di un facile e scontato schema narrativo lineare, l’autrice opera in favore di un modo di raccontare restituito tramite aggregazioni d’immagini tese a creare consonanti gradazioni di disincantato minimalismo. La macchina da presa, pilotata con fare apparentemente pigro e disinteressato, si sofferma con estrema discrezione e reiterato pudore a frugare nei momenti d’intimità dei due protagonisti, in una devota e trattenuta commozione, quasi a voler renderci partecipi di due solitudini che procedono per binari paralleli e come per magia finiscono per sfiorarsi, contro ogni regola e fondamento di geometria elementare. Quasi ad estrapolare dalla banalità del gesto quotidiano la chiave di volta d’una duplice esistenza guidata per mano da una sottile vena di malinconia che aleggia ineluttabilmente nell’elettrico blu intenso d’una metropoli catalizzante. Ed ecco l’adombrata parvenza di spleen esistenziale assumere palpabilità, spessore materico di fisica corporeità, concretizzandosi in tautologiche ripetitività di gesti e parole apparentemente banali che scavano solchi di nostalgia fluttuante destinata a condensarsi in larghi strati ed a rimaterializzarsi nel rigirarsi e girarsi in letti sfatti pregni d’insonnia (emblematica a tale proposito l’immagine d’apertura ispirata dal pittore John Kacere) ed in un’estemporanea contemplazione di vita locale abitudinaria intrisa nell’assorto e rilucente stupore di occhi occidentali in lotta perenne col fuoco fatuo dell’indifferenza. Il film è un continuo aprirsi e chiudersi di simboliche porte in un tentativo di comunicazione fra due mondi antitetici effettuato per vie traverse e pervenuto a parziale realizzazione tra vaghe arie di sufficienza da una parte ed eccessivi atteggiamenti di condiscendenza dall’altra, grazie alla forza aggregante della musica, in ambienti permeati da osmotiche permissività di carezzanti tonalità bluastre in perfetta sintonia con l’occhiegghiante nitore notturno d’una metropoli avvezza ad ingolfare ogni parvenza di malinconia in provvidenziali gorghi di consonante musicalità sotterranea. Nasce in tal modo una multiforme varietà di gesti, sguardi, atteggiamenti minimali percepiti dall’inconscio che vanno a stemperarsi in un evanescente fascino eversivo parzialmente perduto nella translitterazione in parole.
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[+] anche al cinema esistono i raccomandati...
(di zorro77)
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[+] insindacabile la sostanza, ma la forma..
(di amyblue)
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francesco
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martedì 1 agosto 2006
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il sentimento del tempo
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Contiene spoiler. Il film narra anzitutto lo straniamento di due personaggi in una Tokyo della quale non comprendono la lingua, non conoscono la cultura, ed è normale che, in questa situazione, risaltino i luoghi comuni, la superficie estranea e imprenetrabile. In una Tokyo illuminata dalle mille luci dei videogiochi e delle pubblicità, affollata e festaiola, mesta e solitaria, ritratta da una fotografia superlativa - quasi una città invisibile di Calvino - s'incontrano due anime già in parte vissute. E' la gioia dell'incontro, dell'incontro irripetibile; non dovremo più tornare a Tokyo, dice la protagonista, perchè non sarebbe più divertente come questa volta. E' un acuto sentimento del tempo che domina l'intera pellicola, poichè la vita tutto trascina, divora ogni cosa, rende impossibile fermare l'attimo; è così tutto continua a scorrere, ma non prima che le due anime si siano incontrate, timide, sbagliando non poco, e infine con un abbraccio, un bacio sulle labbra e un pianto commosso.
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Contiene spoiler. Il film narra anzitutto lo straniamento di due personaggi in una Tokyo della quale non comprendono la lingua, non conoscono la cultura, ed è normale che, in questa situazione, risaltino i luoghi comuni, la superficie estranea e imprenetrabile. In una Tokyo illuminata dalle mille luci dei videogiochi e delle pubblicità, affollata e festaiola, mesta e solitaria, ritratta da una fotografia superlativa - quasi una città invisibile di Calvino - s'incontrano due anime già in parte vissute. E' la gioia dell'incontro, dell'incontro irripetibile; non dovremo più tornare a Tokyo, dice la protagonista, perchè non sarebbe più divertente come questa volta. E' un acuto sentimento del tempo che domina l'intera pellicola, poichè la vita tutto trascina, divora ogni cosa, rende impossibile fermare l'attimo; è così tutto continua a scorrere, ma non prima che le due anime si siano incontrate, timide, sbagliando non poco, e infine con un abbraccio, un bacio sulle labbra e un pianto commosso. E' un film fatto di attimi, di sguardi, di emozioni, che forse non piace a chi non vorrebbe viverlo, a chi non ha mai provato l'emozione del languore irripetibile; a chi non si è mai trovato seduto da solo nel bar di una città che in fondo non si conosce, innamorandosi di una sconosciuta. 4/5 voto critico, 5/5 voto personale.
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beppe baiocchi
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venerdì 21 febbraio 2014
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toccante
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Come va?
Mah. Tokyo sarà pure interessante, però è anche vero che la lingua non è poi così comprensibile, scambiano la L con la R e devo farmi capire a gesti. I Giapponesi poi... Sono culturalmente così diversi. Neon ovunque, scritte incomprensibili. Al ristorante sembra che i piatti siano tutti uguali. Ci si mette pure l'insonnia. La famiglia? Non è che vada poi così bene.Per una cosa o per un altra non li vedo praticamente mai. Mi sento strano.
Mi sento solo.
Bob Harris (Bill Murray) attore americano in declino è a Tokyo per girare uno spot pubblicitario.
Charlotte (Scarlett Johansson), giovane, neolaureata, da non troppo sposata è a Tokyo con suo marito, fotografo, per il lavoro di lui.
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Come va?
Mah. Tokyo sarà pure interessante, però è anche vero che la lingua non è poi così comprensibile, scambiano la L con la R e devo farmi capire a gesti. I Giapponesi poi... Sono culturalmente così diversi. Neon ovunque, scritte incomprensibili. Al ristorante sembra che i piatti siano tutti uguali. Ci si mette pure l'insonnia. La famiglia? Non è che vada poi così bene.Per una cosa o per un altra non li vedo praticamente mai. Mi sento strano.
Mi sento solo.
Bob Harris (Bill Murray) attore americano in declino è a Tokyo per girare uno spot pubblicitario.
Charlotte (Scarlett Johansson), giovane, neolaureata, da non troppo sposata è a Tokyo con suo marito, fotografo, per il lavoro di lui.
Bob e Charlotte, così diversi tra loro, condividono la stessa situazione. Si trovano esclusi, in una contesto così distante dal loro. Praticamente si sentono soli.
I due si incontreranno.
Sofia Coppola (alla sua seconda prova da regista) dirige davvero con maestria e delicatezza una commedia romantica toccante raccontando con leggereza, ma dal grande impatto i temi della solitudine e della alienazione, della noia della vita, ed essendo un film quantomeno sentimentale dell'amore . Una storia assolutamente non banale e non facile da raccontare. Aiutata molto dall'ottima prova dei due protagonisti.
Bill Murray è un attorone divertente quando si tratta di ridere e incredibilmente carismatico quando le scene diventano più importanti. Le espressioni che riesce a dare sono incredibili degne di un grande attore. Una giovanissima Scarlett Johansson (alla prima apparizione degna di nota) davvero convincente, chiaramente meno incisiva del protagonista maschile, ma compie davvero una prova degna di nota.
Il contesto di Tokyo poi... riesce perfettamente (e saggiamente) a rendere quel senso di alienazione che provano i protagonisti nei confronti della vita, mettendoli fisicamente in un luogo dove è difficile sia comunicare (a causa della lingua) sia ambientarsi (essendo così diverso dal solito). Il tutto aiutato da un ottima colonna sonora principalmente Shoegaze, firmata in gran parte da Kevin Smith (chitarrista dei My Bloody Valentine) che riesce a cogliere perfettamente quel senso che trasmette tutto il film
Un film consigliatissimo, bellisimo e soprattutto toccante, tenero e mai stucchevole (cosa fondamentale nelle commedie romantiche fatte bene).
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gaara
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domenica 6 giugno 2010
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controcorrente
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Film centrato sulla solitudine, quella con la s minuscola mi verrebbe da dire dal momento che la regista, Sofia Coppola, in maniera poco brillante, ha avuto l'intuizione di riportare sullo schermo gli inevitabili vuoti che riempiono la vita dei comuni mortali, conseguentemente la vicenda si trascina avvinghiandosi alle spalle di due attori, meritevoli malgrado la pochezza del film, Bill Murray nei panni Bob Harris e Scarlett Johansson in quelli di Charlotte.
Bob è un un attore americano oramai celebre per il suo passato e pertanto costretto a fare il testimonial di una marca di Whisky a Tokyo, Charlotte invece è una brillante laureata in lettere che essendosi sposata prematuramente si trova a dover seguire, nella capitale orientale, il marito, fotografo, nel suo lavoro.
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Film centrato sulla solitudine, quella con la s minuscola mi verrebbe da dire dal momento che la regista, Sofia Coppola, in maniera poco brillante, ha avuto l'intuizione di riportare sullo schermo gli inevitabili vuoti che riempiono la vita dei comuni mortali, conseguentemente la vicenda si trascina avvinghiandosi alle spalle di due attori, meritevoli malgrado la pochezza del film, Bill Murray nei panni Bob Harris e Scarlett Johansson in quelli di Charlotte.
Bob è un un attore americano oramai celebre per il suo passato e pertanto costretto a fare il testimonial di una marca di Whisky a Tokyo, Charlotte invece è una brillante laureata in lettere che essendosi sposata prematuramente si trova a dover seguire, nella capitale orientale, il marito, fotografo, nel suo lavoro. I due sono immortalati nella loro noiosa staticità dalla macchina da presa, rendendo per questo la visione del film pesante allo spettatore, non solo ma vengono spesso colti, come in una sorta di reality, in dialoghi atti a rimarcare la loro infelicità, ma ciò nonostante la sceneggiatura risulta molto poco realistica e convincente; fredda nel caso di Bob nei colloqui telefonici con la moglie, alla quale sembra tutto sommato legato, e addirittura assente con i figli, mentre quella di Charlotte è spesso poco sviluppata ed in una circostanza pressoché inutile - mi riferisco all'incontro con l'attrice americana, interpretata da Anna Faris, amica del marito – risulta inutilmente grottesca viste le finalità del film.
I due dopo un incontro casuale, iniziano a frequentarsi ed approfondiscono la loro conoscenza condividendo la loro noia, entrambi sono infatti pervasi da un evidente e differente senso di infelicità riuscendo a riemergere per prendere anche solo qualche boccata di vita, riconoscendo nell'altro qualcosa di più di una figura amica. Forse Bob trova in Charlotte una figlia dalle sembianze di amante e viceversa Charlotte trova in Bob un'amante dalle sembianze di padre, di fatto è lei ad ammiccare la prima volta e nel loro rapporto si scorge un non so che di paterno, a sottolineare forse che se l'incontro fosse avvenuto in circostanze diverse non si sarebbe mai evoluto, tanto è vero che i due procedono nel loro scrutarsi come un palombaro nel suo scafandro, nonostante niente sembri trattenerli in maniera convincente.
A mio modo di vedere, l'errore più grande commesso dalla regista è stato quello di ridicolizzare la cultura del paese del sol levante, descrivendola con soli luoghi comuni e facendo pertanto apparire i giapponesi in modo parodistico. Dunque, non mi meraviglierei se qualcuno potesse trovare offensive le ambientazioni socio-culturali della pellicola.
Concludo con un quesito: ci offenderemmo se fossimo presentati al mondo come soli divoratori di pasta e magari facendo apparire come idolo qualche personaggio poco felice della nostra TV?
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[+] finalmente
(di miniapple)
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maximus
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venerdì 19 febbraio 2010
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non c'è né amore, né traduzione
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"Lost in tralation" è un film delicato e ben diretto da Sofia Coppola, dove in una Tokio più simile ad una vetrina che ad una città si incontrano Bob (Bill Murray), attore in declino giunto in Giappone per girare degli spot, e Charlotte (Scarlett Johansson), moglie-turista al seguito di un marito fotografo perennemente impegnato col suo lavoro. Appare dalle prime scene che i due personaggi si trovano in un mondo non loro, nel quale trovano difficile esprimersi e comunicare, oltre il semplice ed evidente impedimento della barriera linguistica: Bob sembra fuori posto in ascensore e sulla scena, Charlotte è visibilmente non a suo agio nel percorrere un luogo che non le appartiene. Anche quando i due si incontreranno e stringeranno un legame (che non sarà mai amoroso), saranno sempre impacciati.
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"Lost in tralation" è un film delicato e ben diretto da Sofia Coppola, dove in una Tokio più simile ad una vetrina che ad una città si incontrano Bob (Bill Murray), attore in declino giunto in Giappone per girare degli spot, e Charlotte (Scarlett Johansson), moglie-turista al seguito di un marito fotografo perennemente impegnato col suo lavoro. Appare dalle prime scene che i due personaggi si trovano in un mondo non loro, nel quale trovano difficile esprimersi e comunicare, oltre il semplice ed evidente impedimento della barriera linguistica: Bob sembra fuori posto in ascensore e sulla scena, Charlotte è visibilmente non a suo agio nel percorrere un luogo che non le appartiene. Anche quando i due si incontreranno e stringeranno un legame (che non sarà mai amoroso), saranno sempre impacciati. Sì, parleranno fra di loro e anche molto, ma ogni qual volta lo faranno non si staccheranno mai dal livello formale per giungere a quel livello sentimentale che dentro di loro si sta già formando (infatti Charlotte rimarrà male sapendo Bill con un altra donna; dal canto suo Bill cercherà inizialmente di nasconderglielo). Questo loro trattenersi impedisce un rapporto d'amore, ma anche la sua "traduzione" (alla lettera, "condurre oltre") verso un piano più elevato. Questo sentimento si perde nel percorso di "traduzione" (Lost in traslation, appunto) per volontà inconscia dei due personaggi. Infatti, quando i due si ritroveranno insieme in un letto si limiteranno a parlare, riducendo al minimo il contatto. E lo si vede anche dai loro primi baci in ascensore, baci della buonanotte molto incerti e imbarazzati.
Solo alla fine, quando l'esperienza viene considerata conclusa da entrambi, questa guadagnerà il luogo che i due le hanno negato, sebbene solo temporaneamente. Nelle ultime scene infatti, i due si baciano, con un bacio d'addio, e finalmente comunicheranno, si esprimeranno, lasciando spazio ai sentimenti fino ad allora celati. E qui assistiamo al colpo da maestro de parte di Sofia Coppola: dopo aver narrato una storia di incomunicabilità, la sola battuta con cui si esprimono veramente non viene fatta conoscere allo spettatore, perché estranea da tutto quello che finora si è visto.
Film dall'elevata sensibilità, storia di due persone che faticano a comunicare pur vivendo nell'era della comunicazione globale.
Titolo originale azzeccatissimo, quello italiano un po' meno.
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giovanni (gvnn)
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martedì 9 settembre 2008
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l'arte del silenzio
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Un uomo e una donna americani si incontrano in Giappone mentre stanno attraversando un periodo molto confuso della loro vita. Lui è un maturo attore nella fase calante della carriera arrivato in Giappone per girare alcuni spot pubblicitari; lei una neo-sposina che si sta chiedendo se ha fatto davvero la scelta giusta.
Nella vita di una persona a volte capita di entrare in crisi, di non riconoscersi in quello che si è diventati e nel trovarsi immersi in una grande solitudine. Nel film di Sofia Coppola ciò è rappresentato con estrema cura e precisione, soprattutto grazie ad una straordinaria interpretazione dei due attori protagonisti Bill Murray (nomination all’Oscar) e Scarlett Johannson (ricordate la tenera bambina di “L’uomo che sussurrava ai cavalli?”).
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Un uomo e una donna americani si incontrano in Giappone mentre stanno attraversando un periodo molto confuso della loro vita. Lui è un maturo attore nella fase calante della carriera arrivato in Giappone per girare alcuni spot pubblicitari; lei una neo-sposina che si sta chiedendo se ha fatto davvero la scelta giusta.
Nella vita di una persona a volte capita di entrare in crisi, di non riconoscersi in quello che si è diventati e nel trovarsi immersi in una grande solitudine. Nel film di Sofia Coppola ciò è rappresentato con estrema cura e precisione, soprattutto grazie ad una straordinaria interpretazione dei due attori protagonisti Bill Murray (nomination all’Oscar) e Scarlett Johannson (ricordate la tenera bambina di “L’uomo che sussurrava ai cavalli?”). Il disagio dei due lo si percepisce costantemente nel film come sensazione di fondo ed è proprio tale disagio che muove tutta la pellicola.
I dialoghi spesso sono del tutto assenti o comunque ridotti all’essenziale, ma il film non risulta mai noioso, tutt’altro. I lunghi silenzi dei protagonisti sono paradossalmente molto espressivi e in quei silenzi prende rilievo un solo gesto, un’espressione, un’atmosfera particolare.
Ogni pensiero dei protagonisti si riesce ad afferrare senza che essi parlino, ma semplicemente osservando le loro azioni o i loro sguardi.
La confusione mentale viene amplificata e resa ancora più evidente dal paesaggio circostante: sullo sfondo troviamo infatti una Tokyo modernissima in cui tutto va ad una velocità supersonica, in cui i palazzi scorrono veloci attraverso il finestrino di una macchina e in cui la lingua incomprensibile ti fa sentire sempre più solo, una città insomma in cui è facile perdersi.
I due protagonisti, pur così lontani nell’età, si ritrovano estremamente vicini e simili nella crisi che stanno vivendo. Nasce così una intima complicità, fatta di momenti eccezionalmente dolci (si pensi alla tenerezza con cui il grande Bill Murray intona alla ragazza le note di “More than this”), ma che tuttavia non sfocia mai nella sfera sessuale, cosa che a mio giudizio aumenta notevolmente il gradimento di questo film. Non serve una scena di sesso per descrivere un vero sentimento tra due persone. Basti pensare che nella pur grande intimità che si viene a creare tra i due, la cosa più vicina al sesso sono due piedi che si sfiorano appena tra le lunghe gambe di Bill e quelle raggomitolate di Scarlett.
Sono incontri casuali che segnano la vita di una persona: a volte si può vivere più intensamente qualche giorno con una persona appena conosciuta e grazie ad essa ritrovare ciò che si era perso da tempo. Ciò è limpidamente raffigurato nell’addio finale tra i due, accompagnato dalla deliziosa colonna sonora di “The Jesus and Mary Chain” “Just like honey”, dolce come il miele, dolce come il sapore che lascia questo film.
L’addio è tutt’altro che triste e melanconico, ma resta in ognuno di noi la serenità di chi è di nuovo felice con se stesso, la serenità dello sguardo di Bill, che come all’inizio del film, si scorge nel riflesso dei finestrini dell’auto, mentre dietro scorre la città che ora non fa più paura.
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[+] ehhh
(di roberto)
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ottilia
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domenica 26 settembre 2010
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l'impossibilità di una traduzione.
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La vera protagonista di questo film ,insolito ed originale nel suo svolgersi,è Tokyo,bellissima citta' che , se riesce a spersonalizzare i propri abitanti in un isolamento fatto di videogiochi, drugsparties e lapdances,crea insormontabili ostacoli ai due personaggi comprimari(lui,un attore ingaggiato per girare lo spot di una marca di whisky;lei,una giovane
donna appena sposata e già delusa dal proprio marito che la trascura per il suo lavoro di fotografo), per la difficoltà linguistica che impedisce loro di poter comunicare con chiunque.Un isolamento personale calato in un isolamento generale.I due che soffrono di insonnia ,si incontrano spesso al bar dell'Hotel dove si scambiano poche e scarne battute da cui emergono brandelli della loro vita privata(lui riceve in continuazione telefonate della moglie che gli rimprovera acidamente le sue frequenti assenze;lei trascorre il suo tempo sempre in solitudine chiusa nella camera dell'hotel, oppure girando nei dintorni-splendida la sequenza del matrimonio a Kyoto dove gli sposi ed i loro familiari,vestiti tradizionalmente,si recano con gioia verso un tempio dietro al quale lei si nasconde per osservare la scena, soffrendo per il fallimento del suo matrimonio- ),da cui si comprende la loro solitudine familiare:sembra un gioco di scatole cinesi,Tokyo li isola quando già loro vivono in un isolamento privato.
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La vera protagonista di questo film ,insolito ed originale nel suo svolgersi,è Tokyo,bellissima citta' che , se riesce a spersonalizzare i propri abitanti in un isolamento fatto di videogiochi, drugsparties e lapdances,crea insormontabili ostacoli ai due personaggi comprimari(lui,un attore ingaggiato per girare lo spot di una marca di whisky;lei,una giovane
donna appena sposata e già delusa dal proprio marito che la trascura per il suo lavoro di fotografo), per la difficoltà linguistica che impedisce loro di poter comunicare con chiunque.Un isolamento personale calato in un isolamento generale.I due che soffrono di insonnia ,si incontrano spesso al bar dell'Hotel dove si scambiano poche e scarne battute da cui emergono brandelli della loro vita privata(lui riceve in continuazione telefonate della moglie che gli rimprovera acidamente le sue frequenti assenze;lei trascorre il suo tempo sempre in solitudine chiusa nella camera dell'hotel, oppure girando nei dintorni-splendida la sequenza del matrimonio a Kyoto dove gli sposi ed i loro familiari,vestiti tradizionalmente,si recano con gioia verso un tempio dietro al quale lei si nasconde per osservare la scena, soffrendo per il fallimento del suo matrimonio- ),da cui si comprende la loro solitudine familiare:sembra un gioco di scatole cinesi,Tokyo li isola quando già loro vivono in un isolamento privato.La loro strana e disperata amicizia si conclude quando lui decide di lasciare la metropoli per fare ritorno a casa dove lo attende la solitudine privata;lei abbracciandolo nel salutarlo,si scioglie in un pianto che sembra liberatorio,ma che vuole esprimere il suo dolore , che non è altro che il grande dolore della condizione umana ( ognuno è solo con se' stesso ).Lui, prima di salire di nuovo sul taxi la guarda allontanarsi inghiottita da una folla anonima che non ha niente da offrirle.
Per accentuare tutto cio'la Regista imprime sul volto di lui un'immobilità assoluta; su quello di lei,un'espressione di angoscia:sono due maschere occidentali che ricordano molto quelle nipponiche del Teatro Kabuki,caratterizzate dalla
fissita'.Non credo che questo sia un caso,anzi:la Regista si serve di una tradizione orientale far risaltare meglio
l'incapacità di comunicazione che hanno i due personaggi a tutti i livelli della loro esistenza-non solo nel fatto di trovarsi a Tokyo-.Film molto profondo ed articolato su piani speculari comprensibili dietro un'apparente linearità dello svolgersi della trama;ottimo spunto di riflessione sulla condizione dell'uomo di oggi,ancora piu'solo dell'uomo di ieri.Film amaro che non propone alcuna soluzione al problema ,se non quella di continuare a camminare cercando un appiglio,come fa metaforicamente lei,quando scompare tra la folla.
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theophilus
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lunedì 2 dicembre 2013
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LOST IN TRANSLATION
Per valutare questo film abbiamo proceduto per sottrazione. Ci siamo posti, in pratica, nell’ottica di che cosa Lost in translation non è, ovvero di quali caratteristiche non possiede.
Nonostante l’azzeccata disposizione alle gags di Bill Murray – senza dubbio felici i suoi atteggiarsi alla maniera di mentre posa in uno studio per le foto pubblicitarie di un nuovo whisky – la storia non può definirsi comica o brillante. Il suo stupore dinanzi alla petulanza e alla dispersione della lingua giapponese, infatti, è coerente con le sue differenti radici ed è tutt’al più messo in risalto dallo sfasamento di fuso orario, ma non ci rende comunque inclini al facile sorriso.
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LOST IN TRANSLATION
Per valutare questo film abbiamo proceduto per sottrazione. Ci siamo posti, in pratica, nell’ottica di che cosa Lost in translation non è, ovvero di quali caratteristiche non possiede.
Nonostante l’azzeccata disposizione alle gags di Bill Murray – senza dubbio felici i suoi atteggiarsi alla maniera di mentre posa in uno studio per le foto pubblicitarie di un nuovo whisky – la storia non può definirsi comica o brillante. Il suo stupore dinanzi alla petulanza e alla dispersione della lingua giapponese, infatti, è coerente con le sue differenti radici ed è tutt’al più messo in risalto dallo sfasamento di fuso orario, ma non ci rende comunque inclini al facile sorriso.
Non per questo, però, lo si deve definire drammatico. Bob, attore americano in crisi come tale e in trasferta a Tokyo per vendere la sua faccia, non se la passa poi tanto male: gli pagano due milioni di dollari, viaggio, vitto, alloggio e connessi – che lui rifiuta, certo, ma deve pur trovarsi qualche alibi a giustificare il suo disagio –, si prende una vacanza dalla famiglia con la quale non fa faville e bighellona tra un canale televisivo e l’altro nella sua camera d’albergo o per le strade della megalopoli giapponese… se giocasse in casa, probabilmente farebbe le stesse cose. E’ solo un po’ – ci si passi il termine – smarronato…beato lui.
Sentimentale, allora? Non diremmo proprio. Bob incontra una ragazzina appena sposata, Charlotte – Scarlet Johannson – che viene regolarmente lasciata sola dal marito in perenne surmenage lavorativo, ci fa amicizia, ci gioca un po’ al papà e alla bambina, va a cena con lei qualche volta, fa il karaoke, si presta senza particolari ansie o tensioni a fare il burattino in quel mondo fasullo, le dà qualche bacetto, scambia con lei alcuni bigliettini e le rincalza le coperte. Tutto qui. Forse ritarda di un giorno la partenza – ma non ne siamo del tutto sicuri – e se ne va lasciandola in lacrime. Detto tutto questo, si deve obbligatoriamente escludere che Lost in translation – che cosa c’entri il posticcio titolo italiano L’amore tradotto non l’abbiamo ancora capito – sia un film passionale (se ha voluto esserlo, la regista ha camuffato così bene le proprie intenzioni che neanche il tenente Colombo riuscirebbe a venirne a capo) tragico, un thriller, un noir. Si tratta dunque di una commedia? Mah, il bello è che non succede quasi niente nel film che possa giustificare quella parola. Sofia Coppola ha riferito di aver voluto creare un senso d'aspettativa nello spettatore per qualche cosa che doveva accadere… ma tutto questo ci sembra un po’ poco. La ringraziamo per non aver messo i due protagonisti a letto insieme; per quanto ci riguarda questo è stato l’unico vero motivo di suspense: se ciò fosse accaduto sarebbe stato, invero, il trionfo dell’ovvietà… ma chi se ne sarebbe, poi, scandalizzato?
Un film introspettivo, allora? Charlotte rivela di non sapere ancora che fare della sua vita – ma se è poco più di una ragazzina! E Bob scopre l’acqua calda quando dice che i figli cambiano la vita. Disprezza forse i dollari dei giapponesi e vi rinuncerebbe volentieri per tornare a fare l’attore? Neanche per idea! Quando sa da Charlotte che lei è laureata in filosofia, non riesce a dirle altro che troverà la maniera di fare i soldi. Vogliamo allora negare che nel film ci sia della poesia? Quando noi usiamo quel termine, pensiamo sempre al profumo particolare di un’esperienza autobiografica trasposta direttamente o meno, ma con intensità, rabbia o dolcezza, dolore o tenerezza, gioia o tristezza sulla carta o sulla pellicola. Ma qui non siamo riusciti ad avvertire nessuna colorazione particolare, niente al di là di una semplice trascrizione di un dato biografico della regista che avrebbe affermato di avere in parte dipinto se stessa in Charlotte, in un periodo da lei effettivamente trascorso in Giappone.
A forza di raschiare e di scartare, che cosa ci rimane? Non molto, in verità. Se vogliamo cavarcela col dire che si tratta di un film minimalista, facciamolo pure.
Enzo Vignoli
27 dicembre 2003
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