C'era una volta in Messico

Roberto Nepoti

Nelle intenzioni di Robert Rodriguez (e in quelle del suo mèntore, Quentin Tarantino), C'era una volta in Messico rappresenta l'ultimo pezzo di una "trilogia dei pesos" con protagonista il Mariachi, cugino latino dell'eroe che sparava per un pugno di dollari nella trilogia di Sergio Leone. Trama ridotta all'osso: un agente della CIA (Depp) assolda Desperado (Banderas) per sventare i piani di un barone della droga (Willem Dafoe), che vuole assassinare il presidente messicano.
Pur nell'esplicito progetto di rendere omaggio a Leone, Rodriguez mette in scena un film che è, in più sensi, all'opposto di quelli del collega italiano: invece della ieraticità, i fuochi artificiali; in luogo del mito (seppure in chiave ironica), la parodia. Tutto è moltiplicato per cento in questo burrito-western sul cui tronco s'innestano i combattimenti alla John Woo e i cartoni animati di Willy il Coyote. Vedere, per credere, la scena tipicamente da cartoon di Johnny Depp con tre braccia: uno falso e due veri, per nascondere la pistola sotto il tavolo.
Deciso a non privarsi di nulla, poi, Rodriguez ha scritto una sottotrama di vendetta facendo il verso al Gladiatore, con Desperado che si vuole vendicare del boss per avergli massacrato la famiglia. Il risultato è pirotecnico; molto look (gli abiti dei personaggi, la chitarra che fa fuoco e fiamme), poca sostanza. Sempre meglio di quando fa la serie Spy Kids; però Rodriguez, per bulimia di bang-bang, il film di culto lo ha mancato di un buon miglio.
Da La Repubblica, 22 novembre 2003


di Roberto Nepoti, 22 novembre 2003