Calendar Girls

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Un film di Nigel Cole. Con John Alderton, Annette Crosbie, Linda Bassett, Julie Walters, Helen Mirren.
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Commedia, Ratings: Kids+13, durata 108 min. - Gran Bretagna 2003. MYMONETRO Calendar Girls * * * - - valutazione media: 3,07 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Alberto Dentice

L'Espresso

Carissime velone che incrociatesui nostri teleschermi, un consiglio: correte al cinema e non perdetevi Calendar girls. Prime perché è una commedia divertentissima; secondo perché racconta come anche timorate signore in età pensionabile possono conquistare la celebrità posando nude per un calendario. Non occorre un corpo da pin up, basta una giusta causa oltre ai coraggio e allo spirito necessari. Anche se il successo, come insegna questa sorta di Full Monthy della terza età tutto al femminile, rischia di travolgere chi lo ottiene tutto d’un colpo. Presentato in anteprima al Festival di Locarno, dove ha strappato gli applausi e le risate dei 9 mila spettatori stipati in Piazza Grande, Calendar girls ha con buone possibilità di bissare il successo di Full Monthy e di Bill Elliot. Anche perché a firmare la regia ritroviamo l’inglese Nigel Cole, già apprezzato per il suo primo lungometraggio, L’erba di Grace. Ma se allora il regista aveva puntato su una stravagante sessantenne pronta a lanciarsi nel commercio della cannabis, in questo film, ispirato a una storia vera, le protagoniste si moltiplicano. Sarà infatti l’iniziativa di un gruppo di attempate signore a scombussolare la quiete della piccola comunità di Knapey, nello Yorkshire, dove a rompere la monotonia di giorni sempre uguali c’è solo l’incontro del giovedì sera nella sede del Woman’s Institute, tra aste di beneficenza, sfide all’ultima crostata e seminari sulle virtù dei broccoli. Questa routine deprimente cambia quando John, il marito di Annie (Julie Walters) muore di leucemia. Volendo partecipare attivamente al lutto, a Chris (Heilen Mirrel), la migliore amica della vedova, balza in testa l’idea di convincere le signore dei circolo a posare nude per un calendario. Scopo: commemorare il caro estinto, rastrellando fondi da destinare all’ospedale locale perla ricerca sulla leucemia. Non è facile per Chrise Annie strappare un sì delle loro amiche e soprattutto ottenere il permesso del Woman’s Istitute. Ma alla fine tutto si aggiusta. Grazie a un fotografo dal tocco d’artista che le ritrae nude ma non troppo, proteggendo i corpi tondi e imperfetti con fiori di girasole, stampi per le torte e strumenti musicali, le irriverenti tardone diventano pin up senza venir meno al decoro. È il responso non tarda. Da un giorno all’altro si trovano spalmate sulle prime pagine di tutti giornali del paese e sepolte da una cascata di lettere da parte di studi di ammiratrici. Mentre di lì a poco anche Hollywood si interesserà al loro caso.

Insomma, l’ennesima commedia inglese che tratta con eleganza il tema tipicamente british dell’imbarazzo e dei modi per superarlo attraverso lo humour. «Mi piace fare film col cuore, raccontare storie di emozioni, ma devo condirle con l’umorismo. È il nostro antidoto nazionale contro la melassa», ammette il regista: «D’altra parte non voglio far ridere alla Mister Bean e tantomeno prendere iii giro le vere protagoniste di questa storia, il mio film è un misto di dramma e commedia, proprio come la vita». Nella seconda parte del film le calendar girls sbarcano a Hollywood per partecipare in tv al “Jay Reno Show”. E cominciano i guai. Annie accusa Chris di trascurare il matrimonio per rincorrere il successo commerciale; Chris dal suo canto giudica Annie troppo attaccata al suo nuovo ruolo di Madre Teresa senza veli. Il calendario ha già raccolto oltre mezzo milione di sterline. Potrebbero dire basta, ma non lo fanno. Non vogliono più rinunciare agli hotel di lusso, alle limousine, alle copertine sui rotocalchi. La celebrità è una droga che dà assuefazione. «La seconda parte introduce nella commedia un elemento di modernità», prosegue Cole: «Delle nonne comuni che da un giorno all’altro si trovano trasformate in star. Che poi venga loro chiesto di spogliarsi per uno spot pubblicitario può apparire come un atto di sfruttamento, ma quello che va storto viene dal di dentro più che dal di fuori».
DaL’Espresso, 25 settembre 2003


di Alberto Dentice, 25 settembre 2003

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