“Questa è la sala d’attesa della morte”: sono queste le parole con cui si apre 21 grammi, pellicola diretta dal messicano Alejandro Gonzàles Inàrritu. Ed in effetti si ha la sensazione, per tutta la durata del film, di vivere nell’anticamera, sull’orlo dell’abisso dei protagonisti. L’impronta nostalgica consente allo spettatore di vivere il film in uno stato di attesa che si risolve soltanto nelle fasi finali. La vicenda ruota attorno a tre drammi che conducono alla ricerca del senso della vita e della riappropriazione della propria identità. L’unità temporale è spezzata, il montaggio è attuato in maniera tale da ricreare lo stesso stato confusionale dei personaggi e per alleggerire l’intensità che deriva da un mix di tematiche che si intersecano in un intreccio dalla incredibile carica drammatica. Il montaggio è vertiginoso, si procede per flashback e anticipazioni in modo che il presente sia indefinito: le inquadrature sono rapide, fugaci, necessitano di attenzione per essere pienamente comprese.
Viene stuzzicata la curiosità nel procedere della visione del film, nel cercare di ricondurre ad un filo temporalmente logico le vicende parallele. Gli attori sono semplicemente magistrali. L’incredibile Sean Penn supera se stesso nell’interpretazione di Paul, insegnante di matematica che in seguito ad una malattia necessita di un trapianto di cuore. Quindi viviamo sequenze in cui è in casa, legato ad una bombola d’ossigeno, aggrappato alla speranza del trapianto, che non riesce a prevalere sulla rassegnazione, insieme a sequenze in cui è riuscito a ricevere un cuore nuovo, intervallate da altre in cui, guarito, va alla ricerca della famiglia del donatore. La sua necessità è legata alla volontà di riappropriarsi della propria identità e il regista concede inquadrature lente, con primi piani impregnati di espressività ed intensa emotività, insieme ad una musica nostalgica, triste, che con poche note e la forza dei colori slavati riesce a lasciare la sua impronta nel marcare il sentimento e la psicologia.
La speranza per la vita di Paul è abilmente contrapposta nel corso del film all’angoscia e all’abisso in cui è crollata Cristina, interpretata da Naomi Watts, che ha perso il marito e le due figlie in un incidente d’auto ed è sprofondata nell’alcol e nella droga, senza riuscire a trovare la forza di riappropriarsi del futuro. E’ lei che prende la decisione di donare il cuore del marito, senza sapere che sarà destinato a Paul. La sua sofferenza è credibile, reale, attinge alla nostra empatia.
Il responsabile dell’incidente d’auto è il terzo protagonista, Jack, interpretato da Benicio Del Toro, la cui vicenda apre una parentesi su tematiche non direttamente legate alla vicenda principale ma comunque abilmente trattate nella segmentazione della pellicola. Jack è un fanatico religioso che, dopo una vita passata in carcere ad intervalli regolari per piccoli crimini, si riveste di un bigottismo sfrontato e ritiene di possedere la sapienza religiosa, agendo in maniera ligia agli insegnamenti del Vangelo (emblematica la scena in cui obbliga la figlia a farsi picchiare dal fratello sull’altro braccio). Credendo di essere sotto la protezione di Cristo, interpreta ogni singolo aspetto dell’esistenza come un volere divino, per cui ha un crollo emotivo, un senso di sconcertante abbandono, dopo essersi costituito in seguito all’incidente. Il Cristo per cui ha operato ora sembra voltargli le spalle ed ha pertanto la necessità di scavare a fondo dentro di sé per convivere col senso di colpa, la responsabilità nei confronti della famiglia e il proprio dovere morale.
Quando Paul scopre che anche il nuovo cuore è instabile e rischia nuovamente la morte, gli eventi accelerano vorticosamente fino al finale, dal momento in cui il nostro Sean Penn ha la percezione che il nuovo ricovero sarà solamente un modo per “aiutarlo a morire meglio”.
La complicità dei personaggi porta alla comprensione di questi 21 grammi, il peso del dolore, un soffio leggero che è pesantezza dell’anima nella pellicola stilisticamente perfetta, tesa come i volti dei protagonisti che fluiscono in un’unica vicenda in maniera armoniosa. Non rimarrete indifferenti dinanzi alla casualità che non risulta forzata, alle debolezze del cuore e della vita.
Vi lascio con le parole di Paul, che rendono al meglio il senso stesso del film: “quante volte viviamo, quante volte si muore? Si dice che nel preciso istante della morte perdiamo 21 grammi di peso, nessuno escluso. Ma quanto c’è in 21 grammi, quanto va perduto, quando li perdiamo, quanto se ne va con loro? Quanto si guadagna? 21 grammi: il peso di cinque nichelini uno sull’altro, il peso di un colibrì, di una barretta di cioccolato; quanto valgono 21 grammi?”. Ve ne innamorerete, vi lascerà un peso in petto, forse dovuto a quei 21 grammi che si saranno ulteriormente arricchiti grazie alle miriadi di riflessioni che sgorgano dal film. Buona visione!
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