Un boss sotto stress

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Roberto Nepoti

La Repubblica

Quante volte abbiamo scritto la frase "squadra che vince non si cambia"? Il fatto è che le cose non si smuovono da quel punto: quando un'idea funziona, Hollywood la stressa e la spreme più che può per capitalizzarne il successo. Così l'idea diventa formula. L'idea, divertente, diTerapia e pallottole era quella di mettere assieme il mafioso Bob De Niro e l'agitato Billy Crystal, nella parte dello psicanalista che lo aveva in cura. Un boss sotto stress si limita a tirarla fuori dalla soffitta, trasformando l'originaria nevrosi di Paul Vitti in una mania depressiva vicina alla psicosi.
Scontata la pena a Sing-Sing, il mafioso subisce tentativi d'omicidio che lo traumatizzano definitivamente. Per farci capire che sta uscendo di testa, cantaI Feel Pretty (West Side Story) con voce stonatissima; così, lo psicanalista Ben Sobel deve tornare in servizio occupandosi per un mese del suo caso. L'obiettivo è la redenzione: Ben, infatti, dovrà insegnargli a vivere come una persona normale e a trovarsi un lavoro che non esorbiti dall'ambito della legalità. Missione impossibile, ovviamente, nella quale dovrebbe risiedere la parte più divertente della seconda puntata.
La formula è semplice: da una parte generare le situazioni comiche dall'incontro-scontro tra il personaggio asociale e gli obblighi della socialità; dall'altra, ribaltare i ruoli dei due protagonisti, dando al mafioso questa volta la parte di quello che deve ingoiare i bocconi amari. Tanto più che anche lo psicanalista è in crisi personale, a causa di una situazione particolarmente psicanalitica come la morte del padre.
Quando si riposa troppo sugli allori, però, la delusione è dietro l'angolo. Qui, la soluzione più facile è stata ricercata scrupolosamente a tutti i livelli di realizzazione: dalla sceneggiatura pigra e dai dialoghi poco ispirati (e perfino volgarotti) alla regia puramente "di servizio", fino alla recitazione. Facendo torto ai rispettivi tipi di talento, Bob e Bill recitano ben poco convinti, ai minimi sindacali (in senso artistico) del loro repertorio. E anche il divertimento dello spettatore non supera la soglia del minimo indispensabile.
Da La Repubblica, 08 marzo 2003


di Roberto Nepoti, 08 marzo 2003

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