Tutto o niente

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Roberto Nepoti

La Repubblica

Il nuovo capitolo della commedia umana secondo Mike Leigh è un melodramma proletario; i suoi protagonisti, gli abitanti di un edificio popolare della periferia londinese. Una famiglia in particolare, intorno alla quale gravitano personaggi secondari che ne rispecchiano, esaltandolo, il profondo male di vivere. Da sempre convivente con la cassiera di supermercato Penny e padre di due figli obesi e infelici, il tassista Phil trascina una routine senza prospettive che lo ha reso come atono; cerca di consolarsi pronunciando sentenze di filosofia spicciola, ma vive dolorosamente il lutto per aver perso l'amore della donna. Le anime alla deriva che li circondano sono un collega di Phil con la moglie alcolizzata, una matura ragazza-madre la cui figlia sta per diventare ragazza-madre a sua volta, più altri campioni d'ordinaria sofferenza. Sarà l'ennesima sventura, la malattia di un figlio, a far sì che Penny e Phil riscoprano i sentimenti logorati dal tempo. Leigh rappresenta bene il modo in cui l'esistere quotidiano umilia e spegne la vitalità degli individui e, contemporaneamente, rende il bisogno d'amore che si nasconde in ciascuno di noi sempre più violento e i rapporti umani sempre più spietati man mano che si scontrano con il muro dell'incomunicabilità; non dimentica mai, però, di mostrare l'interdipendenza fra teatro sociale e dolore individuale. Un po' come Ken Loach, senza dubbio: e tuttavia l'inevitabile confronto non fa che confermare quanto irriducibili siano i rispettivi universi poetico-rappresentativi dei due grandi cineasti britannici. Per quanto disperate possano essere le situazioni che Loach rappresenta (vedi il recente Sweet Sixteen), al suo confronto Leigh appare più aspro, nonché molto più disposto a sovvertire i codici rappresentativi cui lo spettatore è abituato. Non c'è posto, nel suo nuovo film, per l'ironia che distingueva Segreti e bugie; la storia di Phil e Penny è un racconto morale duro, febbricitante, ai limiti della crudeltà. E tuttavia la capacità di provare comprensione e solidarietà non latitano di certo dalle sequenze di Tutto o niente. All'opposto. Basta pensare all'intensità con cui, tra una miriade di film popolati di tipi umani belli, superdotati e pieni di fascino, riesce a farci partecipare alle vicende di personaggi così realisticamente imperfetti nel corpo (i bravissimi Timothy Spall, attore-feticcio del cineasta, e Lesley Manville) e nell'anima. Da La Repubblica, 10 maggio 2003


di Roberto Nepoti, 10 maggio 2003

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