The Hours

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Un film di Stephen Daldry. Con Meryl Streep, Nicole Kidman, Julianne Moore, Miranda Richardson, Ed Harris.
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Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 114 min. - USA 2002. MYMONETRO The Hours * * * - - valutazione media: 3,40 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Leggere è Pensare Valutazione 4 stelle su cinque

di Germon


Feedback: 1306 | altri commenti e recensioni di Germon
lunedì 11 febbraio 2013

Gerardo Monizza

Credere che un libro possa influire sulla vita di chi lo scrive e – soprattutto – di chi lo legge e lo leggerà è un desiderio di onnipotenza che gli scrittori neanche celano. Eppure, se qualche libro ha cambiato il corso degli eventi di un’epoca, si può accettare che “Mrs. Dalloway” abbia segnato l’esistenza di almeno tre donne. Il film “The Hours” parte da questo: dalla scrittura del libro (Richmond, Inghilterra: anno 1923) dovuta alla dolente creatività di Virginia Woolf (Nicole Kidman stupendamente abbruttita, spigolosa, appiattita nelle forme, dolorosa, esile e curva sotto il peso dei suoi pensieri); dalla lettura che nel 1951 ne fa Laura Brown (Julianne Moore bellissima e assente casalinga americana – di Los Angeles –) madre di Richard bimbo adorante, curioso e sensibile, attento e vagamente profetico. La terza tappa riguarda gli effetti che il concatenarsi degli eventi -successivamente - produrrà nell’anno 2001.

Cinquant’anni esatti dopo la stesura del libro d’origine le parole ed i pensieri che in esso sono raccolti avranno effetto su Clarissa Vaughan (Meryl Streep intensa e molto angosciata editor newyorkese, madre e lesbica) e amica di Richard, poeta ormai prossimo alla morte. Curioso: un libro dove i protagonisti si chiamano Clarissa e Richard capita nelle mani di persone che portano lo stesso nome. Un caso, un segno del destino o potenza dell’immaginazione? Riflettendo, in un continuo dialogo interiore, i personaggi del passato e del presente intrecciano i loro pensieri cupi; le loro vite infelici – pur condotte in totale anticonformismo – sono vissute in modo non naturale; la melanconia sfiora la depressione e l’ipersensibilità verso il destino degli altri, per le cose e il mondo provoca solo fragilità. Il suicidio è un mezzo, un fine o un sogno di libertà?

Omosessualità, amore, passione, delusione, sentimento e morte sembrano – nelle tre vicende che l’abile montaggio (Peter Boyle) intreccia con maestria – tenuti insieme dai “pensieri”.  Ciascuno dei partecipanti a questa storia, estesa per quasi un secolo, è assorto in pensieri e il riflettere – come sempre – porta alla conoscenza e al dolore. Dolore per la vita imprendibile (Virginia Woolf sempre sul bordo della pazzia finché non s’annegherà nel fiume); amarezza per la vita qualsiasi (Laura Brown casalinga non insoddisfatta, semmai inadeguata e che nel pensare quotidiano ritrova solo faticosamente il bandolo dei suoi turbamenti confusi e delle sue inclinazioni lesbiche non rivelabili); dolore per Clarissa che, se delle parole scritte fa mestiere, dell’amicizia ha una concezione esageratamente contorta, sofferta, totale. Richard stesso, adulto e malato di Aids e liberato da ogni pregiudizio (“mai vivere per imposizione”) eccita i suoi pensieri fino a liberarsene del tutto separando, con un volo tragico, il martoriato corpo dalla mente. La madre, Laura Brown invecchiata, conoscerà Clarissa restituendo alla realtà le figure dei suoi sogni.

Diretto da Stephen Daldry (Billy Elliot, The Reader) e tratto da un romanzo di Michel Cunningham (“Le ore”, pubblicato da Bompiani) il film è la storia di un’unica giornata per tre vite; poche ore nelle quali sembrano definirsi i destini delle tre donne. Ventiquattro ore scarse per capire e decidere, per pensare e agire. Tre momenti “storici” anche sottolineati da una confezione visiva in stile d’epoca: morbida e acquerellata per gli Anni Venti, coloratissima ed eccessiva per i Cinquanta, aspra e contrastante per l’anno finale della contemporaneità. Tre quadri continuamente spezzati, ma incollati dalla coinvolgente e – a tratti angosciante – colonna sonora di Philip Glass. Quanto a dire che, al di là delle nostre azioni c’è un continuo che ci lega e che ci coinvolge nel profondo, come i sentimenti che nascono dai pensieri di ciascuno e le azioni che ne derivano. Anche quelle tragiche.

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