Paolo D'Agostini
La Repubblica
Nella realtà Jean-Claude Romand, che attualmente sta scontando l'ergastolo, sterminò la sua famiglia il 9 gennaio 1993 dopo aver finto per diciotto anni di essere un medico e dopo che la menzogna era stata scoperta. Piuttosto che deludere aveva preferito prima mentire e poi uccidere. La sua vicenda ha ispirato un romanzo di Emmanel Carrère. Ma anche due film francesi, entrambi ambientati nella regione alpina prossima al confine svizzero, come la realtà.
Nel 2001 lo stesso Laurent Cantet di Risorse umane, liberamente discostandosi dal fatto, aveva raccontato in A tempo pieno la storia di un uomo che dopo aver perso il lavoro inventa e imbroglia pur di non compromettere il benessere familiare. Ma la sua è anche una fuga dalle costrizioni sociali di un emploi du temps (così suonava il titolo originale) scandito da regole eterodirette, e comunque la storia non aveva un esito sanguinoso.
Lo scorso anno, ed eccolo ora sui nostri schermi, in
L'avversario l'attrice e regista Nicole Garcia ha invece più letteralmente illustrato la vera storia, sceneggiando il romanzo di Carrère.
Il suo protagonista, che ha chiamato Jean-Marc Faure, ripete la grigia e tragica odissea di Romand attraverso l'impassibilità spaesata e "innocente" di un attore oggi ai vertici della qualità europea: Daniel Auteil. È lui a dare al film il tono, la temperatura, il carattere che ha. Quello dell'orrore banale, della mostruosità invisibile: che abita alla porta accanto. O, peggio, che cova dentro di noi come una seconda opzione da imboccare per rispondere ai rovesci, alle frustrazioni, ai fallimenti. Fosse anche - il "dirottamento" nella vita di Romand da qui iniziò - un esame non superato.
La scelta di stile percorre il film senza una flessione. Faure non cessa mai di essere un bravo figlio, un bravo marito, un bravo padre: ed è probabilmente convinto di essere davvero tutte queste cose malgrado quasi un ventennio di tradimento della verità. Crolla solo quando è lo sbigottimento della moglie a fargli da specchio. Ma il film non mostra una sola goccia di sangue, lasciando così nella più inquietante sospensione l'enigma dell'indecifrabile e dell'inspiegabile.
Da La Repubblica, 11 aprile 2003
di Paolo D'Agostini, 11 aprile 2003