Il risolutore

Roberto Nepoti

Non lo si prenda per un errore nostro: il regista, F. Gary Gray, è lo stesso di The Italian Job, recensito proprio sempre oggi in queste pagine. Motivo, Il Risolutore esce in ritardo, perché la produzione non era affatto convinta del risultato. Perplessità condivisibile. Nuovo action-hero della generazione post Stallone e Schwarzenegger, Vin Diesel ci era sembrato attore dotato di qualche ironia (in XXX anche troppa) e distacco dai ruoli di superuomo che impersonava. Qui niente di tutto ciò: Vin è soltanto un giustiziere dalle grosse braccia, che si prende troppo sul serio in un filmetto dalla sceneggiatura anoressica e dalla realizzazione approssimativa. Agente speciale a Los Angeles, Sean Vetter è un tipo dai modi spicci disposto a tutto per far trionfare la legge. Dopo anni di sforzi, è riuscito a incastrare il barone messicano della droga Lucero; senonché a questo ne subentra immediatamente un altro, il misterioso Diablo, che semina il terrore e rende vedovo l'eroe. Vendetta, tremenda vendetta! A Sean non resta che far parlare muscoli e armi da fuoco, fino a sbarazzare il mondo da questa feccia umana. Compito al quale Diesel si dedica senza il minimo senso dello humour, durante le quasi due ore di un film tutto azione che sembra la replica di certe pellicole americane fine anni '80. Se i personaggi parlano le loro battute di dialogo sono per lo più omofobe, o misogene. Quanto alla sceneggiatura, lascia cadere immediatamente il tema più originale e stimolante implicito in questo genere di soggetti, quello che Fritz Lang valorizzò al meglio nei suoi noir americani (vedi Il grande caldo, dove la moglie del sergente Glenn Ford era vittima dei gangster): ovvero la metamorfosi dell'eroe positivo che, per sete di vendetta, diventa peggiore dei criminali contro cui si batte. Da La Repubblica, 12 luglio 2003


di Roberto Nepoti, 12 luglio 2003