Nato da un’idea di Francesca Comencini, il documentario dimostra una permeabilità tra il fatto storico e la dimensione umana, alternando riprese del G8 di Genova e spezzoni di intervista alla madre di Carlo Giuliani; Carlo, ragazzo che è stato aggredito, torturato e lasciato morire proprio da coloro che ufficialmente avrebbero dovuto garantire la sicurezza sociale, sebbene in un contesto come quello di Genova nel luglio 2001.
Non é nostro compito né ruolo difendere una folla indignata, cosa che il documentario tende a sottolineare in un atteggiamento decisamente di parte, ma anche ragionevolmente umano e soggettivo. Tuttavia, questa testimonianza ci spinge a volerne sapere di più, a non dimenticare, affinchè non si ripeta lo stesso evento in altre forme e in altri modi. Perché, come recita lo striscione del corteo per Carlo, “Pensate d’averlo ammazzato, ma Carletto vive tra noi”: vive al fine di celebrare una memoria storica che, per ragioni politiche e sociali, volge spesso ad un graduale oblio, fuggendoci.
Ed é proprio questa la strenua e ammirevole ricerca da parte della madre di Carlo: non solo testimoniare, ricercando una verità che sembra essere costantemente celata da opinioni e dichiarazioni di parte; ma soprattutto fare ciò perché la ricerca non sia fine a se stessa, e diventi un punto di riflessione comune e fonte di memoria costante.
Assistiamo a una Genova devastata, qui irriconoscibile, lacerata dalla violenza che si impone sull’intera città e sul diritto mondiale della libera espressione. Tale distorsione d'immagine, cosi reale e tangibile, infonde la sensazione che se quell’atroce uccisione è accaduta in maniera improvvisa e inaspettata -due spari, un tuono nel silenzio-, nulla esclude che la stessa crudeltà sia latente e insita in ogni momento e in ogni luogo; ed è proprio su questo punto che la madre di Carlo é decisa a combattere, nonostante lo strazio. Render giustizia a un pensiero libero, qui e in ogni luogo, ora e per sempre.
Si può argomentare che sia la violenza di attacco che quella di difesa facciano parte di un circolo chiuso, in cui entrambe le risposte diventano ceche e inadeguate. Tuttavia, da questo esplodere, il salto a un omicidio è un colpo all’etica della società: si rivela gratuito, crudele e, anche se non esattamente pre-meditato, decisamente contemplato.
Al contrario, riconosciamo la necessita' di una società che contempli l’atto del pensiero: Carlo Giuliani scriveva poesie, recitate nel film, e si soffermava: “E' nel carattere di Carlo voler capire”, dice la donna, e se le foto e i filmati non sono sufficienti a testimoniare il suo aggirarsi non-violento per il corteo, il suo assassinio rimane un uccisione della sua dignità: gli hanno sparato, l’hanno torturato con le ruote del veicolo, per poi infliggergli calci sul viso; e non era ancora deceduto.
E così, l’impotenza del corpo di Carlo disteso diventa un dato di fatto, che testimonia un fallimento sociale, culturale e politico, nonché la potenzialità di una logica perversa di prevaricazione tramite la violenza. Risulta palese che se un tale sistema prendesse il sopravvento, la possibilità di una resistenza non violenta si annullerebbe, e cosi lo stato di pace; stato che, unico, é in grado di garantire equità, perché come una poesia di De Luca dichiara nel film, “...piccoli, cresciuti o grandi, giovani, anziani o vecchi, al buio si è tutti uguali.”
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