Waking life è un’opera di straordinaria profondità e straordinaria sperimentazione. Una disamina raffinata e cruda dell’animo umano, una riflessione sul senso dell’esistenza, uno studio della percezione della realtà e una navigazione attraverso la dimensione del sogno e dell’illusione.
Dalle prime battute del film, l’estraniazione e lo stupore avvolgono il pubblico di incertezza ma poco a poco l’incertezza si trasforma in travolgente ammirazione. Assistiamo ad una pellicola che vive, nella maniera più autentica e assoluta, una vita propria e va a rappresentare una futura pietra miliare e nell’ambito della tecnologia e della sperimentazione digitale, e nell’ambito della cinematografia impegnata, o, almeno, vincolata al tema dell’esistenza o della percezione della realtà. Quello che più conta è che in quest’opera il regista, Richard Linklater, abbia concretizzato quanto appariva non concretizzabile: per definire e individuare la visione del protagonista di tutto ciò che lo circonda, appunto, ha ridipinto ogni immagine e le ha regalato sfumature e colori accesi, risplendenti di vitalità e incandescenti di amore per l’arte. Waking Life si apre con l’incontro tra un bambino e una bambina. Il bambino, giocando con lei, risponde alle sue domande e, forse inconsapevolmente, sceglie la sua sorte: dal gioco sorgerà una profezia, che vuole sogno e destino chiavi della sua esistenza. Come ciò avvenga, sta al pubblico vedere, capire ed interpretare.
Da quel tratto, la narrazione vive un salto di un paio di decenni; il bambino è adesso un giovane che sbarca in una città, dove ha inizio una peregrinazione visionaria, che, da un passaggio ottenuto da un marinaio che guida sulle strade una barca con quattro ruote, veleggerà verso incontri con scrittori, antropologi, filosofi, critici, per offrire spaccati deliranti e sublimi di dialoghi; l’ultima scena del primo tempo è poi incredibilmente perfetta, si tratta di una sorta di intervista tra un regista e un giornalista, vertente attorno al tema del sacro: tema del sacro che si vive in frangenti di un silenzio impeccabile e commovente, e si conclude con l’assunzione dei due personaggi tra le nuvole; nuvole che spezzano il cielo, e si dissolvono infine, lasciando stupefatto l’osservatore.
Temi degli incontri di questo oniro-nauta saranno inizialmente le riflessioni sull’arte, l’esistenza e la verità e la comunicazione; col passare del tempo, il film si trasformerà in una gravissima e densa meditazione sul ruolo dei media, e della classe politica, e della libertà del popolo. Ripeto, straordinario. Straordinario nella profondità, nell’intellettualismo, nella sperimentazione. La colonna sonora del film è quanto mai appropriata.
Unico limite della pellicola, probabilmente, si rivelerà, a lungo andare, qualche turbinosa e cervellotica disamina di uno degli infiniti personaggi che incontra il nostro protagonista. Infatti la prima volta che l’ho visto, non appena il film si è concluso, ho subito pensato di doverlo rivedere, perchè i tratti di eccessivo intellettualismo hanno bisogno di tempo per essere percepiti appieno, e poter suscitare così una reazione alle sequenze proposte. Molti dialoghi correvano e io con la mente ancora seguivo quelli precedenti. Penso che sia un film troppo denso per essere assimilato dopo una sola visione. E questo sia per i veterani che per i neofiti dell' "erudita letterarietà..." Non posso consigliare questo film a chi ha in odio le divagazioni e le speculazioni intellettuali, o a chi detesta l’arte letteraria; a costoro posso consigliare di presentarsi in sala muniti di pazienza, e di godere almeno della bellezza atipica delle immagini. Non si era mai visto nulla del genere: si entra nel cinema e si esce ricordando gli artisti d’avanguardia, e più in generale con la consapevolezza di essere di fronte non a un semplice film-capolavoro bensì a un opera d’arte vera e propria. Imperdibile!
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