Bisogna inizialmente fare una distinzione; in questa recensione si parlerà del film Pulse(Kairo) diretto da Kiyoshi Kurosawa, da non confondere con l’omonimo (e fiacco) remake hollywoodiano diretto dal regista Jim Sonzero.
Il giovane informatico Taguchi è assente da giorni al lavoro; la sua amica Michi si reca in casa sua e assiste impotente al suo suicidio. Non molto dopo lo studente di diritto Kawashima è testimone del suicidio di Harue, esperta di informatica all’università. Cosa ha spinto queste due personalità apparentemente equilibrate a togliersi la vita? Michi e Kawashima, durante l’indagine da loro effettuata per dipanare la districata matassa, scoprono che entrambi i suicidi si erano connessi a un sito che proponeva all’utente “Vuoi incontrare un fantasma?”. In quest’ indagine si misureranno con l’ incombente presenza dell’aldilà, entreranno in contatto con entità incorporee che vagano nel mondo dei vivi e andranno incontro ad altri fenomeni paranormali.
Un film per nulla semplice, a tratti lento e con una fotografia a tratti spoglia e triste, dove i colori preponderanti sono quelli scuri; il rischio di incappare nella banalità o in una teen- story senza nulla da dire viene tuttavia largamente superato da un plot profondo, ricco e originale. All’osservatore distratto può risultare stupido e passo il fatto che i fantasmi provengano da internet; ciò è solamente il significato letterale, in modo da avviare la storia e di creare una rete di personaggi. La critica del regista è sottilmente diretta contro internet e contro quelle tecnologie che dovrebbero unire le persone, ma che invece le scindono maggiormente, facendole precipitare in una spirale di solitudine e automatismo sconfortante. I fantasmi dall’altra parte del monitor non sono che noi, schiavi di una tecnologia opprimente e stritolante che crea dei rapporti fra le persone fasulli e forvianti. Il tema principale infatti dell’opera è la solitudine, che attanaglia i vivi quanto i morti; si è soli da vivi, si è soli da morti, senza via di scampo. Struggenti e disperate le grida d’aiuto che i morti rivolgono ai vivi, tanto cariche di dolore quanto prive di risposta e di una possibile soluzione. Stupenda la scena finale in cui il regista vuole comunicare che non sono solamente i singoli ad essere sottoposti a questo terribile progetto: tutta la città di Tokyo ne risente, ne è impregnata fino alle radici, una Tokyo post-apocalittica, deserta e come in fiamme, contaminata ovunque da questo male di vivere: le strade sono piene e al tempo stesso vuote, le generazioni scompaiono, ma nulla resta se non la solitudine. A parte una o due riflessioni abbastanza ingenue, il film è caratterizzato da un messaggio discutibile, ma interessante e da un ritmo lento, ma con picchi di suspense non indifferenti. Consigliata la visione, solamente per spettatori pazienti e pensanti.
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