Mulholland Drive

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Cubisti al cinema Valutazione 5 stelle su cinque

di Stefano Burini


Feedback: 1124 | altri commenti e recensioni di Stefano Burini
lunedì 13 giugno 2011

Assurdo, intricatissimo dramma- thriller allegorico e metacinematografico in cui gli unici punti fermi sono rappresentati dalle grandi qualità di affabulatore e di virtuoso della macchina da presa del grande D. Lynch, qui più che mai grande burattinaio a cui si può permettere di suggestionare senza pretendere una (o quantomeno unica) conclusione logica, tale è la fitta rete di personaggi, simbolismi e deus ex-machina in cui nulla e nessuno pare essere ciò che sembra. Sogni, speranze, delusioni, e l’inesorabile declino: a prima vista la parabola di una giovane aspirante attrice che termina in maniera tragica, ma a ben vedere anche una feroce satira del dorato mondo di Hollywood, la grande e scintillante macchina dell’inganno e della finzione ( “No hay banda, no hay orchestra” recita l’uomo dello spettacolo) capace di ogni possibile trucco artificio, in grado di plasmare la realtà a proprio piacimento, di capovolgere i fatti e di scambiare i ruoli (molto interessanti le sequenze che illustrano il casting del film diretto da J. Theroux) per raccontare una storia apparentemente senza capo né coda, suscettibile di svariate chiavi di lettura e intrecciata con decine di sottotrame parallele di cui nulla o quasi si capisce, almeno in prima battuta. Mulholland Drive è probabilmente un sogno (la leggenda dice che, come al solito, sia stata proprio questa la fonte di ispirazione per Lynch), o forse un racconto in flashback, oppure ancora il risultato di un sortilegio di magia nera, in cui realtà e desiderio si sovrappongono e si compenetrano, il tutto intrecciato ad accenni di satira metacinematografica, a siparietti tra il grottesco e il demenziale, tutto questo e altro ancora. Non si può non rimanere affascinati (e storditi) di fronte alla realtà cui Lynch ha dato vita in questa pellicola: amnesie, torbidi amori, gelosie, digressioni oniriche e forse anche allegorie della Morte; lo script, a dir poco paranoico, è opera dello stesso regista, capace con poche, mirate, inquadrature di creare un clima di angoscia indicibile, aiutato dalle avvolgenti musiche di A. Badalamenti che, svariando dal thrilling all’operistico alla canzonetta anni ’60 (e lasciando pure spazio ai siparietti in stile musical tanto cari al regista americano), contribuiscono a dar forza a questo delirio organizzato.

Ciò che Lynch opera sulla pellicola è sostanzialmente ciò che i cubisti cercavano di trasporre nei loro quadri: una realtà (già di per sé malata, a metà strada tra il grottesco, il demenziale e il noir) osservata contemporaneamente da più punti di vista, spezzata e poi ricomposta ad uso e consumo della sensibilità del singolo, in cui identità logica e consequenzialità possono avere un senso logico ma altrettanto no; al di là delle innumerevoli possibili chiavi di lettura, diciamolo chiaramente: le vere star della pellicola sono le due splendide e bravissime protagoniste, la bionda e versatile Naomi Watts e la “bambolona” bruna Laura Harring, maliziose, complici e perfide al punto giusto, assistite dal sapiente uso dei mezzi cinematografici di uno dei più grandi maestri viventi del cinema, da una storia assolutamente incredibile nelle sue molteplici incarnazioni e sfaccettature e dalle frequenti allegorie visive, oltre che da più d’un paio di sequenze molto riuscite sul piano dell’intensità, della tensione e della potenza immaginifica.

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beckysharp martedì 28 giugno 2011
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mi spieghi la trama? io l'ho visto, ma non ci ha capito quasi nulla... avevo intenso che il film si muove, per così dire, su due livelli: il livello del sogno e il livello della realtà... ma nessuno filone ha una conclusione logica...Rita? Coco che lei incontra quando arriva....Coco che si rivela essere la madre del regista.. il regista che ha una moglie che lo caccia..intricato davverociao

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