mario conti
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giovedì 12 luglio 2007
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un grande uomo (anche se non c'era)
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Che un uomo aspiri all'invisibilità è cosa nota. Che l'invisibilità gli sia connaturata, come un vestito cui ci si affezioni e che si fa fatica a dismettere, è altra storia. Ma il disegno divino o naturale che rende un uomo riconoscibile soltanto dal fumo delle proprie sigarette non può durare, almeno non abbastanza da eludere le conseguenze di una semplice permanenza sulla Terra. Il barbiere ("guardate quest'uomo: è soltanto un barbiere") agisce perchè esiste ed agendo (pur nel silenzio: nessuno lo ha visto uccidere, nessuno lo riconosce nè può farlo, egli è solo un taglio ben fatto o un paio di forbici che fendono l'aria) inizia a disegnare le proprie coordinate esistenziali, il proprio destino che, beffardo, ne farà un uomo completo nel momento della fine.
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Che un uomo aspiri all'invisibilità è cosa nota. Che l'invisibilità gli sia connaturata, come un vestito cui ci si affezioni e che si fa fatica a dismettere, è altra storia. Ma il disegno divino o naturale che rende un uomo riconoscibile soltanto dal fumo delle proprie sigarette non può durare, almeno non abbastanza da eludere le conseguenze di una semplice permanenza sulla Terra. Il barbiere ("guardate quest'uomo: è soltanto un barbiere") agisce perchè esiste ed agendo (pur nel silenzio: nessuno lo ha visto uccidere, nessuno lo riconosce nè può farlo, egli è solo un taglio ben fatto o un paio di forbici che fendono l'aria) inizia a disegnare le proprie coordinate esistenziali, il proprio destino che, beffardo, ne farà un uomo completo nel momento della fine.
Non si può non provare simpatia, quasi amore, per quest'uomo. E' squallido e meschino come un brutto sogno diurno; odia le vite degli altri, il loro successo, la loro capacità di vincere le partite. Ed è solo, con il suo tabaco ed i monologhi interiori. E' anche discretamente stupido, talmente da non capire gli altrui inganni, e quei disegni della vita che, inevitabilmente, escludono i perdenti. Per un momento la ruota pare girare dalla sua, ma è un altro incubo al sole: neppure la confessione di un omicidio ne attenua l'invisibilità. Non resta che attendere l'appuntamento finale. E' allora che Ed sboccia, forse si riscatta per il giusto tempo di un lampo di elettricità, finalmente può guardare i capelli degli altri senza stanco interesse professionale: semplicemente con odio e definitiva indifferenza.
Vogliamo chiamarla parabola esistenziale? Lo è ma è di più: è una disincantata riflessione sulle scelte dell'uomo, sul suo posto nella società. E' una una umoristica digressione sulla incapacità di trovare un posto a sedere nel luna-park di questo mondo e, al contempo, una drammatica constatazione della immutabilità delle cose.
E'una gigantesca prova attoriale: Billy Bob Thornton non ha sorrisi, non ha espressioni; eppure fa impallidire le gigionerie di un qualunque George Clooney. E' il capolavoro assoluto dei fratelli Coen, sorretto da una sceneggiatura a prova di bomba, da una musica di tagliente e devastante efficacia, da una bellezza e nitidezza delle immagini che è raro trovare nell'attuale cinema. Bellezza e nitidezza che si stagliano senza un solo colpo ad effett, senza facili e spreconi effetti speciali, con la sola forza della riflessione filosofica.
Viene da piangere a pensare a quanto cinema italiano si erga a dispensatore di massime esistenziali, senza avere al contempo la leggerezza di tocco di certo cinema americano. Meglio: di QUESTO cinema americano.
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antonio
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giovedì 23 agosto 2007
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indimenticabile ed
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Splendido e anomalo noir dei fratelli Coen, geni a corrente alternata, ma qui decisamente ispirati nel raccontare la storia di Ed Crane, uomo ''trasparente'' che attraversa la propria vita frastornato dal suo mistero e ignorato dal mondo (''Ero un fantasma, nessuno mi vedeva e io non vedevo nessuno''), al punto che nessuno - neanche i parenti della moglie - ricorda neppure il suo nome e lui sa farsi riconoscere solo quando si presenta come ''il barbiere''.
Nel momento in cui, ingannato da un viscido truffatore, prova a dare una svolta e una direzione alla propria vita, finisce per mettere in moto una catena di tragici eventi in cui ognuno dei protagonisti troverà sì la propria punizione, ma mai per la colpa di cui si è realmente macchiato.
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Splendido e anomalo noir dei fratelli Coen, geni a corrente alternata, ma qui decisamente ispirati nel raccontare la storia di Ed Crane, uomo ''trasparente'' che attraversa la propria vita frastornato dal suo mistero e ignorato dal mondo (''Ero un fantasma, nessuno mi vedeva e io non vedevo nessuno''), al punto che nessuno - neanche i parenti della moglie - ricorda neppure il suo nome e lui sa farsi riconoscere solo quando si presenta come ''il barbiere''.
Nel momento in cui, ingannato da un viscido truffatore, prova a dare una svolta e una direzione alla propria vita, finisce per mettere in moto una catena di tragici eventi in cui ognuno dei protagonisti troverà sì la propria punizione, ma mai per la colpa di cui si è realmente macchiato.
Domina il senso tragico dell'assurdità dell'esistenza, appena temperato dal ghigno di umor nero così tipico dei registi, e della conseguente impossibilità di raccontarla in modo organico (da qui, in questo come in altri film dei Coen, la loro carattersitica alternanza di vari registri e toni del racconto), sicchè il principio di indeterminazione di Heisenberg - cui si riferisce l'avvocato di Ed (spassosa macchietta di tronfio e borioso principe del foro), adottandolo come base concettuale a sostegno della strategia difensiva - finisce per rappresentare il compendio più efficace della visione degli autori (''più osservi qualcosa, meno la comprendi, perchè l'atto stesso di osservarla la cambia''). E la domanda che più personaggi ripetono a Ed nel corso del film (''Ma che razza di uomo sei?'') è la stessa che è destinata a rimanere senza risposta fino all'ultimo.
Memorabile il finale, col sogno notturno in carcere e l'auspicio di trovare oltre la morte un senso per tutto ciò ''per cui qui non abbiamo le parole''.
Straordinari tutti gli attori, con una menzione speciale per Billy Bob Thornton, indimenticabile nel tratteggiare il catatonico Ed, giù fino all'ultimo dei caratteristi, e splendido il luminoso bianco e nero, unico ''colore'' pensabile per raccontare la storia di un uomo che non c'è. E si resta ammirati di fronte alla capacità di costruire una narrazione insieme lenta e tesissima, nella quale convivono con sorprendente efficacia un ritmo apparentemente compassato - degno dello stranito protagonista - e un susseguirsi non per questo meno incalzante e efficace di colpi di scena.
Capolavoro imperdibile che la tv ha vergognosamente relegato - in prima visione! - alle ore piccole per far spazio alla penosa fiction di turno.
Gli appassionati che non l'hanno visto rimedino al più presto.
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nerofelix
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giovedì 11 gennaio 2007
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sublime
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Quando il cinema ritrova la poesia, la forza dell’immagine, il guizzo della genialità, torna ad essere arte, lasciandosi alle spalle le sgangherate esercitazioni di registi improvvisati e recitazioni farsesche loro malgrado. Vedere questo film (e rivederlo) riconcilia con questo mondo troppo spesso in balia di spregiudicati manager di loro stessi che, nelle vesti di cineasti o attorucoli, infestano l’aria di pattume di celluloide. Questo film ha la personalità e il genio dei Coen e promette di rimanere nel tempo, cristallizzato com’è nella condizione classica di bianco e nero. E’ praticamente perfetto: nei dialoghi ma soprattutto nei monologhi, nella storia e nella musica che l’accompagna, nel tessuto sottile e spesso di una trama intelligente e raffinata, nelle performances degli attori, tutti bravissimi, dalla malinconica e stralunata Scarlett Johansson a Billy Bob Thornton (il protagonista) che sa dare assoluto spessore a un personaggio al tempo stesso pieno e vuoto, raziocinante e folle.
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Quando il cinema ritrova la poesia, la forza dell’immagine, il guizzo della genialità, torna ad essere arte, lasciandosi alle spalle le sgangherate esercitazioni di registi improvvisati e recitazioni farsesche loro malgrado. Vedere questo film (e rivederlo) riconcilia con questo mondo troppo spesso in balia di spregiudicati manager di loro stessi che, nelle vesti di cineasti o attorucoli, infestano l’aria di pattume di celluloide. Questo film ha la personalità e il genio dei Coen e promette di rimanere nel tempo, cristallizzato com’è nella condizione classica di bianco e nero. E’ praticamente perfetto: nei dialoghi ma soprattutto nei monologhi, nella storia e nella musica che l’accompagna, nel tessuto sottile e spesso di una trama intelligente e raffinata, nelle performances degli attori, tutti bravissimi, dalla malinconica e stralunata Scarlett Johansson a Billy Bob Thornton (il protagonista) che sa dare assoluto spessore a un personaggio al tempo stesso pieno e vuoto, raziocinante e folle... lo scarto di una mente ripiegata su sé stessa, quieta ma visionaria. E’ la storia di un barbiere, raccontata in prima persona fino al conclusivo epilogo, coinvolto in una vita semplice ma comunque più grande di lui che, poco a poco, diviene ingestibile e di cui finisce vittima. Il bianco e nero è fondamentale perché i tagli di luce siano più sgargianti di mille colori, e copre la pellicola di una decisa patina di antico che parla di tanto cinema espressionista (da Murnau a Lang, da Dreyer ad Eisenstein). La luce è la protagonista della scena, insieme alla macchina da presa... si fissano entrambe su sguardi, su gesti, sulle rughe di un volto, sul panneggio morbido dei vestiti. E rendono ogni dettaglio carico di significato. A volte (metaforicamente anche) la scena è priva di luce, altre volte (altrettanto metaforicamente) ne è inondata, come nelle scene finali, talora la penombra suggerisce l’atmosfera ovattata, talaltra lo stacco luministico squarcia lo schermo. E’ un film che ha tutto: gli estremi come le mezze misure, l'umorismo e la malinconia... un capolavoro che merita 5 stelle e il privilegio di avere, secondo me, un suo piccolo posto nella storia del cinema.
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poggi
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lunedì 12 luglio 2010
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un cinema postmoderno: oltre il genere
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Che bel film! Una vera boccata d'ossigeno nel desolante panorama del cinema contemporaneo. C'è poco da dire, i Coen sono sempre una garanzia: può non piacere il loro stile ma è impossibile negare l'indubbio talento di questa strana coppia (ricordo che sono registi, sceneggiatori, montatori e produttori dei propri film).
Che dire? Il modo che hanno i Coen di giocare con i generi (in questo caso il noir classico), di rimanere anzi volutamente legati ad un cinema di genere per poi trascenderlo regolarmente con colpi d'ala e tocchi d'autore evidenti (inquadrature atipiche, quasi "wellesiane" in questo "L'uomo che non c'era"); l'ironia acre e l'humor nero di cui punteggiano le loro storie grottesche; la sorprendentè capacità di penetrare le trame occulte di un mondo caotico e senza senso; la coerenza di una visione certo pessimistica della vita, dove nulla funziona come dovrebbe, dove ogni tentativo di interazione con la realtà distorce la realtà stessa (vedi il furbo riferimento al principio d'indeterminazione di Heisenberg) fino ad imprevisti esiti tragici (come in "Fargo", altro capolavoro degli eccentrici fratelli); tutto questo fa del cinema dei Coen qualcosa d'inedito, al di là delle non poche citazioni cinefile contenute nelle loro opere.
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Che bel film! Una vera boccata d'ossigeno nel desolante panorama del cinema contemporaneo. C'è poco da dire, i Coen sono sempre una garanzia: può non piacere il loro stile ma è impossibile negare l'indubbio talento di questa strana coppia (ricordo che sono registi, sceneggiatori, montatori e produttori dei propri film).
Che dire? Il modo che hanno i Coen di giocare con i generi (in questo caso il noir classico), di rimanere anzi volutamente legati ad un cinema di genere per poi trascenderlo regolarmente con colpi d'ala e tocchi d'autore evidenti (inquadrature atipiche, quasi "wellesiane" in questo "L'uomo che non c'era"); l'ironia acre e l'humor nero di cui punteggiano le loro storie grottesche; la sorprendentè capacità di penetrare le trame occulte di un mondo caotico e senza senso; la coerenza di una visione certo pessimistica della vita, dove nulla funziona come dovrebbe, dove ogni tentativo di interazione con la realtà distorce la realtà stessa (vedi il furbo riferimento al principio d'indeterminazione di Heisenberg) fino ad imprevisti esiti tragici (come in "Fargo", altro capolavoro degli eccentrici fratelli); tutto questo fa del cinema dei Coen qualcosa d'inedito, al di là delle non poche citazioni cinefile contenute nelle loro opere. Un cinema nuovo, qualcuno ha detto (a mio avviso senza sbagliare) un cinema "postmoderno". Postmoderno perchè gioca col passato senza lasciarvisi ingabbiare, perchè lavora con intelligenza su materiali noti e usurati per cavarne un prodotto originale (un po' come l'Umberto Eco del "Nome della rosa", non a caso il primo romanzo italiano postmoderno), perchè svuota i generi dall'interno con piglio inedito.
Quanto a "L'uomo che non c'era" una menzione particolare meritano secondo me la sceneggiatura (sempre dei Coen sotto pseudonimo), calibratissima e intelligente come di consueto, la stupenda fotografia in b/n e Billy Bob Thornton nella parte del grigio e anonimo barbiere: straordinario protagonista capace di giganteggiare senza fare nulla, anzi quasi diventando invisibile. Si sprecano le scene da antologia.
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gianpaolo
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martedì 10 maggio 2005
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una tragedia americana
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A mio giudizio questa "mostruosa" allegoria nichilista,..è in assoluto la migliore opera dei fratelli "Cohen".
Magistrale la sceneggiatura,....e non da meno è la caratterizzazione dei personaggi,...in sostanza viene ritratto in modo "apatico" l'orrore che può annidarsi nella società,...corrodendone le fondamenta,...e prosciugandola quasi del tutto da "imput" etici.
In sintesi un capolavoro.
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andrea zagano
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mercoledì 8 maggio 2013
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billy thornton, l'uomo che incarna il noir...
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Per chi ama il genere noir “L’uomo che non c’era” è un must, una tappa di un viaggio impossibile da saltare.
La pellicola è un atto d’amore dei fratelli Coen verso questo antichissimo genere/stile vestito sempre in bianco e nero, decisamente fuori moda, ma che conserva sempre un certo fascino.
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Per chi ama il genere noir “L’uomo che non c’era” è un must, una tappa di un viaggio impossibile da saltare.
La pellicola è un atto d’amore dei fratelli Coen verso questo antichissimo genere/stile vestito sempre in bianco e nero, decisamente fuori moda, ma che conserva sempre un certo fascino.
Si può dire che il film, forse il più lineare tra quelli provenienti dalla fabbrica Coen, segue fedelmente le classiche caratteristiche del "romanzo nero": il protagonista è un antieroe taciturno immerso nei suoi pensieri, fotografia rigorosamente in bianco e nero, vestiario e ambientazioni di inizio secolo e la soluzione del crimine passa in secondo piano.
Chi fa la differenza? Billy Bob Thornton, che veste i panni del protagonista assoluto della pellicola, Ed Crane. Questo attore, quasi sempre impegnato in film di minor spessore, incarna l’essenza del noir recitando divinamente, non con le parole (il suo copione non lo prevede) ma con le espressioni, con gli occhi e moltissimo con la bocca, mentre fuma. I Coen fanno tutto il resto, completando il film come un notaio autentica un atto di vendita…
Purtroppo il film conserva anche tutti i piccoli difettucci che costituiscono il genere, come la lentezza, ma se c’è da giudicare “L’uomo che non c’era” i Coen lo dirigono in modo magistrale e non incappano nelle insidie che nasconde il genere, come hanno fatto invece molti altri predecessori…
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chaoki21
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giovedì 9 febbraio 2012
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kafka e camus
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Siamo nel 1949.
Ed Crane fa il barbiere a Santa Rosa in California e conduce un esistenza amorfa, triste, rassegnata; apatico nella sua fissità, grigio nella sua anaffettività (non ama, non odia, non gioisce, non soffre), rigido e tragico nella sua totale inespressività.
Alla ricerca di “un qualche tipo di fuga, un qualche tipo di pace”, ricatta l’amico con cui la moglie lo tradisce, gli estorce una grossa somma di danaro e poi lo ammazza, ma qualcosa va storto e gli eventi lo travolgono inesorabilmente, proprio come accade in altri film dei fratelli Coen costruiti attorno a storie di ricatto (Fargo, Il grande Lebowski, Burn after reading).
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Siamo nel 1949.
Ed Crane fa il barbiere a Santa Rosa in California e conduce un esistenza amorfa, triste, rassegnata; apatico nella sua fissità, grigio nella sua anaffettività (non ama, non odia, non gioisce, non soffre), rigido e tragico nella sua totale inespressività.
Alla ricerca di “un qualche tipo di fuga, un qualche tipo di pace”, ricatta l’amico con cui la moglie lo tradisce, gli estorce una grossa somma di danaro e poi lo ammazza, ma qualcosa va storto e gli eventi lo travolgono inesorabilmente, proprio come accade in altri film dei fratelli Coen costruiti attorno a storie di ricatto (Fargo, Il grande Lebowski, Burn after reading).
La totale indifferenza davanti al precipitare degli eventi non nasconde il suo sentire profondo che - sorprendentemente e paradossalmente - è impregnato da un’inquietudine immensa e devastante anche se inespressa, da un’insoddisfazione intima insopportabile, da una rabbia compressa che scaturisce da una disperazione insanabile.
Per queste ragioni, anche se la vicenda ruota attorno ad un canonico omicidio, il film non può essere ingabbiato nel genere noir, ma dilata i suoi significati fino a diventare uno spiazzante trattato filosofico sul nichilimo che regge il paragone con il pensiero e le opere di Turgenev e Dostoevskij, Kafka e Camus.
La sceneggiatura è perfetta, asciutta e sostanziale; la regia è pulitissima, senza enfasi deconcentranti, rigorosamente tesa a rappresentare l’emozione nella sua scarna essenzialità.
Splendido e nitidissimo il bianco e nero che ricostruisce con suggestione le temperature sbiadite dell’epoca e ne restituisce in maniera impeccabile le atmosfere.
Sublime l’interpretazione di Billy Bob Thornton, che vive tagliando capelli che ricrescono in continuazione, si lascia scivolare addosso gli eventi “come se recitasse” e procede come un automa mantenendo davanti alla sedia elettrica la stessa fissità di sguardo che ha davanti alla poltrona da barbiere .
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andre
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martedì 24 luglio 2007
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eccezionali i coen!
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Spettacolare ritratto di una provincia americana e di un uomo onesto, un barbiere, la cui vita è sconvolta all'improvviso. E' il primo film che vedo dei fratelli Coen, e devo ammettere che non credevo potesse attrarmi così. Ho trovato starordinaria la denuncia al sistema, simboleggiata, a mio avviso, dalla figura dell'avvocato incaricato di difendere, in tribunale, prima la moglie del protagonista e poi il protagonista stesso. Un avvocato- considerato il migliore- che lavora incurante della verità, o della ricerca di giustizia. Il suo unico scopo è vincere, non gli interessa il modo attraverso il quale occorre perseguire tale risultato. Non fa altro che ripetere di essere il migliore, inventa cento modi per far fessi i giurati, ma quando le cose si mettono male, è il primo a squagliarsela per non rischiare di compromettersi.
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Spettacolare ritratto di una provincia americana e di un uomo onesto, un barbiere, la cui vita è sconvolta all'improvviso. E' il primo film che vedo dei fratelli Coen, e devo ammettere che non credevo potesse attrarmi così. Ho trovato starordinaria la denuncia al sistema, simboleggiata, a mio avviso, dalla figura dell'avvocato incaricato di difendere, in tribunale, prima la moglie del protagonista e poi il protagonista stesso. Un avvocato- considerato il migliore- che lavora incurante della verità, o della ricerca di giustizia. Il suo unico scopo è vincere, non gli interessa il modo attraverso il quale occorre perseguire tale risultato. Non fa altro che ripetere di essere il migliore, inventa cento modi per far fessi i giurati, ma quando le cose si mettono male, è il primo a squagliarsela per non rischiare di compromettersi. Alla fine del film, lo spettatore si accorge che tutto è sbagliato. Il processo è stato una buffonata, e l'esito non poteva essere diverso: tutto è stato ricostruito male, nessuno ha capito niente, ma ciò non toglie che qualcuno debba pagare. Ed è il povero protagonista, un eccezionale Billy Bob Thornton, che ne farà le spese. Il personaggio, immerso in una spirale perversa, non può nemmeno far valere le proprie ragioni, perchè non interessano a nessuno: il sistema ha bisogno di un colpevole, e lui, che comunque è colpevole, verrà incriminato anche per ciò che non ha commesso. Strepitoso affresco dei fratelli Coen, mai banali o prevedibili, sempre affascinanti nella loro aperta critica contro un sistema precostituito, logoro, crudele.
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(di michiamojerda)
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(di angel)
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mystic
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mercoledì 18 aprile 2012
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i veri fratelli coen in un film di indubbio valore
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Ed Crane è un semplice barbiere con poco interesse per la vita. Una circostanza però scatena in lui la voglia di trovare spazio nel mondo: affari nel settore del lavaggio a secco. All'occasione imperdibile faranno sfondo un estorsione all'amante della moglie Doris e il successivo omicidio ai danni di quest'ultimo. Indagata per omicidio colposo, la moglie viene chiusa in carcere attendendo la fine del processo;ma la svolta è dietro l'angolo: il suicidio dietro le sbarre di Doris spinge sull'orlo del precipizio Ed, sempre più chiuso nella propria inesprimibile personalità. "The man who wasn't there" è un superbo lungometraggio in pieno stile Coen.
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Ed Crane è un semplice barbiere con poco interesse per la vita. Una circostanza però scatena in lui la voglia di trovare spazio nel mondo: affari nel settore del lavaggio a secco. All'occasione imperdibile faranno sfondo un estorsione all'amante della moglie Doris e il successivo omicidio ai danni di quest'ultimo. Indagata per omicidio colposo, la moglie viene chiusa in carcere attendendo la fine del processo;ma la svolta è dietro l'angolo: il suicidio dietro le sbarre di Doris spinge sull'orlo del precipizio Ed, sempre più chiuso nella propria inesprimibile personalità. "The man who wasn't there" è un superbo lungometraggio in pieno stile Coen. Joel ed Ethan fanno una scelta imprevedibile: l'uso del bianco-nero. Così facendo i due permettono allo spettatore di entrare nella mente del protagonista cogliendo anche semplici ma decisivi dettagli. La chiusura di Ed è sintomo di un disagio eccessivo, forse dovuto ad un disinteresse totale per i piaceri dell'esistenza. Altro tratto caratteristico di questo film, e di tutti i film targati Coen, è la malinconica comicità che spesso e volentieri sfocia in sequenze stravaganti e bizzarre. Basti pensare alla scena in cui egli avvista gli ufo o quella del roccambolesco incidente. La sceneggiatura è eccellente e le scene sono frutto di preparativi puntigliosi. Ottime interpretazioni di Billy Bob Thornton e di Frances McDormand. Ed ha tutti i tratti caratteristici per diventare un'eroe del cinema, se non fosse di metabolismo lento che rende l'opera poco appetibile agli amanti dell'azione; i suoi tratti semplici delineano un carattere complesso e profondo, senza dubbio fuori dal comune. "The man who wasn't there" è quindi un bianco-nero nostalgico che contrappone all'inutilità dell'esistenza il desiderio innato di essere vissuta. Tema secondario che conferisce allo stesso Ed quello straordinario tocco di umanità è la sottile avidità ed l'egoismo, sempre presenti in ognuno di noi. Arrivati ai titoli di coda non possiamo che domandarci se il personaggio descritto dai Coen fosse del tutto inattivo; tuttavia elementi come il fumo e il silenzio sono sinonimi di vissuto. Benchè invisibile il protagonista conferisce alla pellicola quel tocco di classe che basta per essere nominato uno dei film più belli, seppur non uno dei più conosciuti o amati.
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filippo catani
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lunedì 22 ottobre 2012
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ottima pellicola firmata coen
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California 1949. Un barbiere rimane folgorato dalla proposta fattagli da un uomo d'affari; entrare con lui nel buisness del lavaggio a secco. Per fare questo l'uomo dovrà trovare 10.000 dollari. Per fare questo il barbiere decide di mettere in atto un ricatto ai danni del capo della moglie. Questa mossa darà avvio ad una serie di eventi terribili.
Girato interamente in bianco e nero, questo bellissimo noir dei Coen si basa sostanzialmente sul racconto fatto dalla voce narrante del protagonista (un Thornton forse nella sua migliore interpretazione). Il ritmo non è particolarmente vivace ma l'atmosfera e il racconto riescono decisamente a coinvolgere lo spettatore che non si trova mai a dover affrontare improvvisi cali di attenzione.
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California 1949. Un barbiere rimane folgorato dalla proposta fattagli da un uomo d'affari; entrare con lui nel buisness del lavaggio a secco. Per fare questo l'uomo dovrà trovare 10.000 dollari. Per fare questo il barbiere decide di mettere in atto un ricatto ai danni del capo della moglie. Questa mossa darà avvio ad una serie di eventi terribili.
Girato interamente in bianco e nero, questo bellissimo noir dei Coen si basa sostanzialmente sul racconto fatto dalla voce narrante del protagonista (un Thornton forse nella sua migliore interpretazione). Il ritmo non è particolarmente vivace ma l'atmosfera e il racconto riescono decisamente a coinvolgere lo spettatore che non si trova mai a dover affrontare improvvisi cali di attenzione. Certo ci sono tutti gli elementi dei film targati Coen: un umorismo nero e tagliente, una storia che presenta risvolti inaspettati con il protagonista che congegna un piano perfetto per poi vederlo fallire miseramente (vedi Fargo). Poi c'è la presenza della bravissima Mc Dormand. Quasi assente la colonna sonora se si eccettuano le parti al piano con la Johansson come protagonista. Insomma per gli amanti del genere e per quelli dei Coen questo è davvero un film imperdibile.
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