Il mestiere delle armi |
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Un film di Ermanno Olmi.
Con Sandra Ceccarelli, Christo Jivkov, Sergio Grammatico, Dessy Tenekedjieva
Storico,
Ratings: Kids+16,
durata 105 min.
- Italia 2001.
MYMONETRO
Il mestiere delle armi
valutazione media:
3,07
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Quella cannonata che fu fatale al condottiero...!di Great StevenFeedback: 70023 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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domenica 31 maggio 2020 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
IL MESTIERE DELLE ARMI (IT/FR/GERM, 2001) di ERMANNO OLMI. Con HRISTO JIVKOV, SERGIO GRAMMATICO, DIMITAR RATCHKOV, DESSY TENEKEDJIEVA, SANDRA CECCARELLI, GIANCARLO BELELLI ● 1526. Alle armate dell’imperatore tedesco Carlo V, capeggiate dal generale Zorzo Frundsberg, deciso a impiccare Papa Clemente VII con un cappio d’oro, si contrappongono le truppe pontificie al comando del generale Francesco Maria della Rovere, duca d’Urbino. Tra le truppe pontificie si distingue il capitano di ventura Joanni De’ Medici, conosciuto come Giovanni dalle Bande Nere. Stimato per la sua esperienza in campo militare, è, ancora in vita, un mito irraggiungibile. Nel frattempo Alfonso d’Este, duca di Ferrara, tradendo i patti stabiliti col Papa, cede all’esercito dei lanzichenecchi quattro falconetti, sorta di primitivi cannoncini. La domenica del 24 novembre 1526 un proiettile esploso da uno di questi marchingegni ferisce gravemente proprio Joanni De’ Medici, portandolo alla morte dopo l’amputazione di una gamba e quattro giorni di agonia. Con la sua scomparsa, Frundsberg e le sue truppe sono liberi di proseguire l’invasione dell’Italia che li condurrà infine al sacco di Roma nel maggio 1527. Sulla soglia dei vicinissimi settant’anni, ribaltando la tesi di Condottieri (1937) di Trenker che teorizzò Joanni come un precursore di Mussolini, attento alla lezione di Rossellini e Tarkovskij, trovata la Pianura Padana in Bulgaria, Olmi realizzò il suo primo film "epico" in cadenze antiepiche che fu, in filigrana, una profonda riflessione sulla morte di ampio respiro religioso e di potente tensione etica, ma anche sull’onore, il coraggio, il dolore e la trasformazione tecnologica del conflitto armato che lo rende ancor più brutale e mortifero. L’opera cinematografica più costosa e difficile della sua cinquantennale carriera è stata anche, sul piano stilistico, la più libera, di semplicità raffinata nella scrittura (una sceneggiatura che, senza insistere sui dettagli, riproduce verosimili dialoghi in un italiano del tardo Rinascimento), arguta nei veloci scorci di battaglie e attenta alla cultura materiale e ai volti dei bambini. La compassione che il regista rivolge al protagonista sul letto funebre non è inferiore a quella dedicata ai soldati che bruciano un crocifisso per riscaldarsi. Nella descrizione della guerra, Olmi non ha bisogno del sangue, in quanto la sofferenza proviene dal freddo, dalla fame e dal peso delle armi e delle corazze trascinate sulla neve nella Pianura Padana. Perché "il mestiere delle armi"? Perché Joanni fu un soldato e come tale rifiutò sempre di essere uno strumento nelle mani della politica. Nonostante i tradimenti e gli inganni, scelse comunque di andare incontro al proprio destino poiché, come disse Orwell, le azioni, anche se sono prive di effetto, non per questo risultano prive di significato. Di fronte alla morte la sua preoccupazione non è quella di un’improbabile salvezza eterna, ma solo quella del suo ricordo e della sua integrità, riassunta nella meravigliosa semplicità di una frase: «Vogliatemi bene quando non ci sarò più». Da non trascurare l’aspetto storiografico: le capacità militari di Giovanni dalle Bande Nere sono ormai sorpassate dai nuovi strumenti di morte, ovvero i falconetti di Zorzo Frundsberg ottenuti dal duca di Ferrara, contro i quali le armature non possono più nulla. Non solo una innovazione tecnologica dell’arte del conflitto, ma soprattutto un decisivo superamento di quei valori che prima ispiravano il combattimento. A dispetto del coraggio individuale e dell’abilità dello stratega, in un Medioevo ormai terminato la morte viene da lontano e non lascia scampo; laddove prima vinceva il valoroso (negli scontri corpo a corpo), ora trionfa chi è possessore della maggior quantità di denaro per comprare le costose e pratiche artiglierie. Sostenuto da una cupezza ovattata che a tratti lascia libera espressione a momenti di maggiore meditazione, il film vanta un andamento narrativo di tutto rispetto, grazie anche ad attori a cui sono stati giudiziosamente affidati ruoli adeguati, fra cui spiccano H. Jivkov nella parte di Joanni e S. Ceccarelli nelle vesti della pudibonda nobildonna mantovana. A ventitré anni di distanza dal superbo L’albero degli zoccoli (1978), è inoltre un ulteriore omaggio da non dimenticare che Olmi fece alla sua Lombardia, rievocando episodi storici piuttosto glissati dai libri di scuola con l’obiettivo di restituire fulgore a figure passate nell’oblio e riedificare mattone dopo mattone un’epopea degna di questo nome senza metterne inutilmente in risalto i fasti (lo dimostra specialmente la rappresentazione delle battaglie, depurata da tutti quei sovrabbondanti elementi di retorica gloriosa e boria immaginifica a cui, purtroppo, ci hanno abituato saghe come Il Signore degli Anelli o Il Trono di spade). Magnifica fotografia del figlio Fabio Olmi. Determinante nel condurre le immagini, in particolar modo nel Requiem, l’apporto musicale di Fabio Vacchi. Premi Sacher per il miglior film dell’anno e per la migliore attrice non protagonista (Ceccarelli). Premiato con nove statuette ai David di Donatello 2002.
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