LA VIRGEN DE LOS SICARIOS
Speriamo che non diventi un tormentone, tanto più che il film non lo merita comunque. Quando, durante le giornate del festival di Venezia, nella pagella inserita nel Daily di Film TV ci fuun generoso “1” dato da Goffredo Fofi a La Vergine dei sicari, tirammo un sospiro di sollievo, perché avevamo quasi maturato la convinzione che, qualora fossero mancati del tutto giudizi decisamente negativi, era preferibile non entrare più in una sala cinematografica.
Non abbiamo letto il romanzo autobiografico di Fernando Vallejo da cui è stato tratto il film, ma questo non ci pare che possa spostare i termini del giudizio critico. La preesistenza di un testo straordinario e dal significato ideologico ed estetico omologo non potrebbe che aggravare (se possibile) il giudizio negativo sul film.
Il film di Barbet Schröder parla da sé: il protagonista, lo stesso Vallejo impersonato da un attore che proviene dal teatro, sembra recitare fuori scena l’improbabile ritorno di Ulisse in patria; vediamo un incontro amoroso che sboccia con la stessa naturale e drammatica intensità con la quale una macchina automatica distribuisce pacchetti di sigarette; lo stesso dicasi del macabro rituale degli omicidi compiuti dal pressoché baby-killer, di fronte ai quali il protagonista ha delle reazioni che mostrano una forma di aristocratica ‘atarassia’ (o vogliamo dire, più semplicemente, che ci si può chiedere se abbia un’anima) che lascia perlomeno sbalorditi, il tutto condito con espressioni moralistiche che suonano fesse. Un po’ più risentito il buon Vallejo appare, che diamine!, di fronte alla musica assordante ascoltata dal suo boy friend. Le frasi sul papa? Di un anticlericalismo così scialbo, trito, innocuo e al tempo stesso casuale e posticcio, da fare sbellicare dalle risa (oppure, come preferite, farvi strappare i capelli). Se nella edizione italiana sono state effettivamente tolte, il motivo non deve certamente essere stato quello del timore dell’accusa di vilipendio alla religione. Che dire, che so, della colonna sonora? Sembra, in certi momenti, voler sottolineare lati sentimentali del film che francamente non abbiamo visto, a meno che la svenevolezza di alcuni passaggi non celi l’ironia divertita del musicista. Il tono generale della pellicola travasa nello spettatore (non in tutti, evidentemente) sensazioni di gelo e indifferenza per tutto ciò che è umano, perché questi le sono propri, anche se mostrati in modo banale e non credibile.
Alla fine, il film, oltre che odioso, abbietto e reazionario, suona desolante, stupido, irritante e non credo che basti la tecnica digitale con cui è stato girato a spiegare queste sensazioni. Proprio non ce la facciamo a commentare la Medaglia d’oro della Presidenza del Senato assegnato al film.
Enzo Vignoli
12 ottobre 2010
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