nel 1930 il professor Unrat si innamorava dell'angelo azzurro, ed ecco che a giudicare dalla trama e dai primi passi dell'opera, mutatis mutandis, si pensa che non c'è proprio più niente di nuovo nella descrizione dell'animo umano, tuttavia qui siamo di fronte ad un Unrat più giovane e meno colto, e l'angelo azzurro (ci vorrebbero le virgolette) è un'attrice di mezza età che arrotonda con lezioni d'inglese. Da sganasciarsi dagli sbadigli? No, perchè dopo circa quaranta minuti il film decolla e, incredibile a dirsi, rimane in quota sino alla fine. Odiosi gli attori (in realtà una accozzaglia di tromboni e mezze cartucce) spocchiosi ed ingrati, patetica la coppia gay senza arte ma almeno con tanta educazione.
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nel 1930 il professor Unrat si innamorava dell'angelo azzurro, ed ecco che a giudicare dalla trama e dai primi passi dell'opera, mutatis mutandis, si pensa che non c'è proprio più niente di nuovo nella descrizione dell'animo umano, tuttavia qui siamo di fronte ad un Unrat più giovane e meno colto, e l'angelo azzurro (ci vorrebbero le virgolette) è un'attrice di mezza età che arrotonda con lezioni d'inglese. Da sganasciarsi dagli sbadigli? No, perchè dopo circa quaranta minuti il film decolla e, incredibile a dirsi, rimane in quota sino alla fine. Odiosi gli attori (in realtà una accozzaglia di tromboni e mezze cartucce) spocchiosi ed ingrati, patetica la coppia gay senza arte ma almeno con tanta educazione. A ritmare la pulsione sotterranea che anima tutto il film qualche secondo di prove con un terribile flauto traverso, scena che compare più volte quasi a separare una scena dall'altra.
L'industriale-innamorato fra una brutta figura e l'altra dimostra di avere una solida base di umanità e capacità anche imprenditoriale, ed è forse l'unico ad avere anche una buona dose di autocritica.
il finale è aperto, e non potrebbe essere altrimenti.
Buona parte della delizia offerta da quest'opera è la colonna sonora, praticamente tutta composta da pezzi di compositori ottocenteschi (struggente Schubert, bellissimo come sempre Verdi, innominato l'autore inglese), la miglior colonna sonora di questi ultimi anni. Raffinata, coerente, come dire, Viscontiana, ecco si, Viscontiana.
Dopo tutte queste delizie ci si immagina un finalone chessò con Bach, Haendel.... ed invece ricompare il terribile flauto traverso che, assieme ad una banda musicale improvvisata, suona (male, malissimo) Rien, Rien de Rien.... della immortale Edit Piaf. Uno sberleffo elegante allo spettatore.
Da rivedere, anche più volte.
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