Il prezzo della libertà |
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Un film di Tim Robbins.
Con Joan Cusack, John Cusack, Bill Murray, Vanessa Redgrave, John Turturro.
continua»
Titolo originale Cradle will rock.
Drammatico,
durata 132 min.
- USA 1999.
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Roberto Nepoti
La Repubblica
America, 1936. E' il periodo tra la fine del New Deal rooseveltiano e l'inizio del maccartismo. Mentre i grandi industriali americani sostengono i regimi fascisti in Europa (magari in cambio di tele firmate da maestri) e i sindacati manifestano per tutto il paese, gli artisti si battono per la libertà d'opinione, che editori come Rudolph Hearst e magnati come Nelson Rockefeller pretenderebbero d'imbrigliare. Orson Welles, appena ventiduenne, monta la controversa The Cradle Will Rock di Marc Blitzstein, commedia musicale sulla repressione in un centro minerario.
Il comitato per le attività antiamericane sospende le sovvenzioni allo spettacolo. Frattanto, Rockefeller affida al pittore leninista messicano Diego Rivera il compito di affrescare la hall del suo Centro: ma si rende conto del proprio errore e fa distruggere il lavoro. L'ultimo episodio l'abbiamo visto recentemente - in Frida, che in parte si riferisce agli stessi eventi. Di quel film, ritroviamo gli stessi difetti nel Prezzo della libertà, terzo diretto da Tim Robbins e pieno dello zelo democratico del simpatico attore-regista (inviso, si sa, all'amministrazione Bush per le sue posizioni antibellicistiche).
Ha tutte le ragioni del mondo, Tim, quando denuncia l'attegiamento degli Hearst e dei Rockefeller nei confronti delle dittature europee (rappresentate nel suo film da Susan Sarandon nella parte di Margherita Sarfatti, amante e ambasciatrice ufficiosa di Mussolini). Peccato che, come in Frida, anche qui la faccenda finisca per risolversi in una collezione di figurine d'epoca, tutte sovraeccitate e bizzarramente oscillanti tra una definizione melodrammatica (il marionettista Bill Murray, che anticipa la caccia alle streghe per amore della burocrate frustrata Joan Cusack) e una brechtiana (lo spettacolo teatrale) della materia. Insopportabile, poi, l'Orson Welles caricaturale ed etilico (male) interpretato da Angus Macfadyen.
Il fatto è che Robbins adotta un manicheismo primario, per distinguere nettamente le responsabilità dei personaggi e per rendere chiara la sua professione di fede nella libertà d'espressione artistica; si preoccupa meno delle modalità dell'espressione artistica stessa, contentandosi di una messa in scena convenzionale e prevedibile (anche se punteggiata, qui e là, da complessi movimenti di macchina).
Da La Repubblica, 14 giugno 2003
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