American Beauty

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Un film di Sam Mendes. Con Kevin Spacey, Annette Bening, Thora Birch, Wes Bentley.
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Titolo originale American Beauty. Commedia drammatica, durata 130 min. - USA 1999. MYMONETRO American Beauty * * * * - valutazione media: 4,00 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Sembrerebbe tutto già visto: la critica della vita suburbana, il colletto bianco frustrato che si ribella ai miti e ai riti del quartiere residenziale e manda tutto al diavolo, la moglie ambiziosa e imperiosa che desidera solo mantenere le apparenze, la casa perfetta e le rose nel giardino davanti, la figlioletta ribelle in tempesta ormonale, i vicini strani, l'innamoramento dell'uomo adulto per la bella ragazzotta, e perfino il morto che parla - ricordate Viale del tramonto? - raccontando in prima persona la sua vicenda e le tappe che hanno portato alla sua fine. Sembrerebbe tutto visto e invece American Beauty (il nome di una sontuosa rosa rossa, quella che campeggia sui manifesti su un bel pancino adolescente, e un titolo carico di ironia) ha abbastanza stile e idee per rendere tutto originale, e si merita i riconoscimenti che, a partire dalle candidature ai Golden Globe, cominciano a piovergli addosso. La felice alchimia del film nasce da una sceneggiatura intelligente e ben scritta firmata da Alan Ball, noto sinora solo per degli sceneggiati tv, da una orchestrazione di rimarchevole eleganza e precisione ad opera di Sam Mendes (il regista teatrale inglese di Cabaret e di The Blue Room, al debutto cinematografico) e da un gruppo di attori eccellenti. Kevin Spacey non è mai stato così bravo, anche se resta sempre ambiguamente sgradevole. Annette Bening, nel ruolo di sua moglie, perfetta padrona di casa suburbana e agente immobiliare non particolarmente fortunata, tira fuori una notevole grinta autoironica. E sono ben scelti anche i tre ragazzi: la vistosa Mena Suvari, la "cheerleader" che gioca a fare la donna fatale e accende i desideri del quarantenne in crisi, Thora Birch, la figlia diciottenne e ribelle, Wes Bentley, il bel ragazzone dallo strano sguardo azzurro che sotto il naso del babbo Chris Cooper, ex-colonnello e filonazista, spaccia metodicamente droga - e intanto filtra il suo rapporto con la realtà e persino con la ragazza di cui si innamora attraverso la sua telecamera. Non che proprio tutto sia perfettamente a registro. Annette Bening avrebbe dovuto rendersi conto, per esempio, che la scena di sesso tra lei e il suo amante - il re degli agenti immobiliari - è, nel contesto di un film che predilige la strada dell'allusione, dell'ironia e dell'ellissi, caricaturale e inelegante. E le divagazioni estetiche e poetiche del ragazzo Wes sulla pura bellezza del sacchetto di plastica da lui ripreso mentre vola senza mai posarsi per terra suonano a dir poco artificiose (e tuttavia adolescenziali). Ma senza arrivare agli estremi crudeli ed eversivi di Happiness da una parte o, dall'altra, alla contrastata nostalgia di Pleasantville, American Beauty traccia, in forma di favola nera, un quadro feroce e bruciante del perbenismo borghese, della crisi del maschio che invecchia, dei sogni sbagliati delle adolescenti, dello iato tra genitori e figli. Anche se in America i nemici del film, che ci sono (non si è trattato di un trionfo critico assoluto), lo hanno accusato di essere, come i confratelli film sulla crisi di Suburbialand, il prodotto degli incubi della mezza età di qualche tycoon hollywoodiano: Spielberg (visto che il film è prodotto da Dreamworks, anzi, è uno dei suoi primi prodotti veramente adulti)? Brillante e tragico, enfatico ed economico, commovente e sgradevole, American Beauty è invece un film fuori genere, tra satira, autoritratto e fantasia, che consente molte letture. Ed è, soprattutto, un film di stile. Dalla fotografia di un vecchio maestro come Conrad Hall (il cinematographer di Nick Manofredda e di Butch Cassidy), che costruisce fluidamente le immagini di una realtà così curata da sembrare finta, al montaggio impeccabile, a una sapiente costruzione delle inquadrature, American Beauty è certamente il miglior debutto dell'anno, e un film che, miracolosamente, si può anche rivedere continuando a scoprirvi cose nuove.
Da La Repubblica, 23 gennaio 2000

di Irene Bignardi, 23 gennaio 2000

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