A domani

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Un film di Gianni Zanasi. Con Stefania Rivi, Wilson Saba, Andrea Corneti, Paolo Sassanelli, Cesare Bocci.
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Commedia, Ratings: Kids+16, durata 100 min. - Italia 1999.
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

A domani di Gianni Zanasi. Un film che rivedremo con piacere e simpatia in un pomeriggio d'inverno sul piccolo schermo tv per cui è ritagliato, impaginato e costruito, ma che non si sa bene che cosa ci faccia qui in concorso, se non a testimoniare la pochezza (ma sarà vero?, rivolgiamo la domanda ad Alberto Barbera) della nostra produzione cinematografica. Se il giovanilismo fa premio, perché non è allora in concorso il divertente (e molto ben fatto) Come te nessuno mai di Muccino o (tra i film non veneziani) Un amore di Tavarelli, appena uscito nei cinema? Se un criterio è l'originalità, perché non c'è l'ambizioso mélo di Giuseppe Bertolucci, Il dolce rumore della vita? Non che A domani sia brutto o antipatico. Anzi. È (semplicemente) elementare. Nello sviluppo dell'idea - la fuga contemporanea e assai breve (una notte) di due adolescenti, fratello e sorella, dal loro paesone emiliano verso la ville lumière Bologna. Nel ritratto del ragazzino (Andrea Corneti), affabulatore e sbruffone, che riesce, come si dice a Bologna, a intortare tutti a chiacchiere e fantasia. Nel ritratto di gruppo dei personaggi che si aggirano attorno al Motor Show bolognese dove Andrea approda facendo finta di essere il figlio di un pilota e suscitando le carinerie più o meno interessate di un gruppo di meccanici. Mentre unica in tutto il film ad avere un atteggiamento e un punto di vista credibile è la bella Stefania Rivi, la sorella di Andrea, portatrice di un minimo di buon senso e soprattutto di qualche momento di sana perplessità. Zanasi lascia ai suoi attori una libertà di recitazione che finisce nell'anarchia di tempi morti, sorrisi sbagliati, gag che si prolungano a tormentone, per cui quello che dovrebbe essere un ping pong brillante di equivoci e di battute trascolora troppo spesso nei Ragazzi del muretto e tutto è sopra le righe. Poco importerebbe, per certi versi: corre nel film, che si direbbe guardi molto a Rohmer e alla sua finta spontaneità, una vena di grazia, l'atmosfera è simpatica, è piacevole non doversi confrontare con il solito ritratto di gioventù tossica e/o brutale, i ragazzi, anche se recitano per stereotipi, sono carini, la fotografia di Giulio Pietromarchi è bella (ma questa Bologna è troppo vuota), le risate arrivano... Manca, semplicemente, quella cosa che si chiama cinema, a cui, guarda caso, questa Mostra è dedicata.
Da La Repubblica 9 settembre 1999

di Irene Bignardi,

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