Train de vie - Un treno per vivere

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Un film di Radu Mihaileanu. Con Agathe De La Fontaine, Lionel Abelanski, Rufus, Clément Harari, Marie José Nat.
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Titolo originale Train de vie. Commedia, Ratings: Kids+16, durata 103 min. - Francia, Belgio, Romania, Israele, Paesi Bassi 1998. MYMONETRO Train de vie - Un treno per vivere * * * 1/2 - valutazione media: 3,51 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Un treno di deportati fittizio li salverà tutti! Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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venerdì 15 febbraio 2013

TRAIN DE VIE – UN TRANO PER VIVERE (1998)
Diretto da RADU MIHAILEANU. Interpretato da LIONEL ABELANSKI – RUFUS – CLÉMENT HARARI – MICHEL MULLER – AGATHE DE LA FONTAINE – BRUNO ABRAHAM-KREMER – JOHAN LEYSEN – GAD ELMAHEL
Durante gli anni della seconda guerra mondiale, un villaggio ebraico dell'Europa orientale è minacciato dall’occupazione nazista. Il matto del paese, Shlomo, consiglia, per sfuggire al pericolo della deportazione, di inscenare un finto trasporto degli abitanti a bordo di un grande treno. Bisognerà far credere che il mezzo è diretto in un lager quando invece dovrà condurre i paesani in Palestina. Tra i numerosi personaggi da interpretare nella pantomima, vi sono le SS, i deportati e ovviamente il macchinista. La recita procede bene finché non sorgono tensioni e contrasti all'interno del popolo già in viaggio, soprattutto a causa di questioni politico-ideologiche. Ma, nonostante l'aggiunta poco provvidenziale di numerosi ostacoli (posti di blocco nazisti lungo il percorso, bombaroli vaganti, un tentativo di fuga da parte dei paesani convertitisi al comunismo), l'avventura finirà bene. Il film – una coproduzione franco-belga-rumena, e girato a Bucarest – si apre con la voce narrante di Shlomo (L. Abelanski, doppiato da Massimo Popolizio) in un bosco e si chiude con l'immagine dello stesso in un campo di concentramento, con tanto di divisa da carcerato. Contrariamente a quanto potrebbero suggerire le apparenze, non è un finale che sottrae verità al significato del film: non importa se la storia raccontata dal protagonista sia vera o falsa, conta piuttosto il fatto che essa è un espediente ironico e sdrammatizzante per narrare la tragicità dell'Olocausto. Fare la parodia della Shoah: un soggetto indubbiamente rischioso, una materia potenzialmente esplosiva come le bombe che nel sottofinale serrano lo scalcinato treno fra due fuochi, quand'esso è già giunto a destinazione. Eppure la sceneggiatura ha saputo costruire un film comico gradevolissimo, con interpretazioni più che pregevoli, che fa ridere in modo spontaneo e naturale senza offendere niente e nessuno ed evitando un sottofondo politico troppo pesante. Tutt'altro: la pellicola di R. Mihăileanu (regista, sceneggiatore e produttore rumeno nato nel 1958) si permette anche di ridicolizzare le varie ideologie insieme ai personaggi che le propinano o le personificano, e che si scontrano proprio per causa di quest'ultime. La simpatia della storia non va quindi agli improvvisati parlatori od esecutori delle teorie (come Yossi, l'imbranato ragazzone filo-marxista), ma è rivolta piuttosto a chi crede nei sentimenti puri e incontaminati (Esther, la ragazza coi capelli castani e lo stesso Shlomo, altruista, pacifico e dotato di grande intuito e sensibilità, benché unanimemente deriso). Mordechai (Rufus) è senza ombra di dubbio una delle colonne del film, il personaggio più comico perché fortemente autoironico e quello che riesce in modo più divertente a far luce sull'assurdità del comportamento nazista. Vanno apprezzati anche il rabbino dalla barba bianca di Harari,  personaggio riccamente sfaccettato, e il simpatico insegnante di tedesco (Mordechai dice: «I tedeschi lo sanno che facciamo la parodia della loro lingua? Non saranno mica in guerra per questo?!»). Il momento più lirico del film viene raggiunto durante la processione religiosa all'aria aperta nel campo verde, in cui Shlomo afferma che l'uomo ha inventato Dio per poter inventare sé stesso. Un'opera con pochissimi eguali nella storia del cinema, originale, dissacrante e coerente con la morale che non dimentica di fornire agli spettatori. Premio Fipresci a Venezia 1998, e David di Donatello al miglior film straniero. Per il doppiaggio, i dialoghi furono tradotti in italiano da Moni Ovadia, drammaturgo e attore teatrale di discendenza semita.     

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