The Truman Show |
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Un film di Peter Weir.
Con Jim Carrey, Laura Linney, Noah Emmerich, Natascha McElhone, Brian Delate.
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Titolo originale The Truman Show.
Fantastico,
Ratings: Kids+16,
durata 103 min.
- USA 1998.
- UIP - United International Pictures
uscita venerdì 25 settembre 1998.
MYMONETRO
The Truman Show
valutazione media:
3,66
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La vita di un uomo ripreso a sua insaputa.di Great StevenFeedback: 70023 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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sabato 6 giugno 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
THE TRUMAN SHOW (USA, 1998) diretto da PETER WEIR. Interpretato da JIM CARREY, LAURA LINNEY, NOAH EMMERICH, ED HARRIS, PAUL GIAMATTI, NATASCHA MCELHONE, HOLLAND TAYLOR, PHILIP BAKER HALL, BRIAN DELATE, PETER KRAUSE
I primi trent’anni (in realtà un po’ meno: 10.909 giorni) di Truman Burbank, sereno e gioviale impiegato, son passati lisci come l’olio nella tranquilla cittadina marittima di Sea Haven ?. Ma quel che Truman inizialmente non sa è il fatto di essere il protagonista assoluto, nonché unico essere umano a non recitare, di uno show televisivo trasmesso in tutto il mondo ventiquattro ore su ventiquattro, dove tutte le persone con cui egli interagisce sono attori, compresa la donna che crede sua madre e l’uomo che ha finto di essere suo padre, morto in un incidente in barca al seguito del quale Truman nutre una paura fobica per l’acqua. L’ignaro individuo è ripreso quotidianamente da telecamere nascoste e ascoltato da microfoni invisibili che proiettano su tutte le emittenti del pianeta ogni singolo istante della sua esistenza. Il creatore di questo colossale spettacolo è il produttore/demiurgo Christof, che ha prelevato Truman da una gravidanza indesiderata e l’ha reso il personaggio principale di una straordinaria macchina atta a far soldi e a regalargli un successo multimediatico senza precedenti. Ma dopo il suo trentesimo compleanno, e soprattutto successivamente ad alcuni indizi inquietanti (la ricomparsa del padre creduto defunto, l’avviso di un’attrice che gli instilla i primi dubbi, la mancanza di un doppiofondo nell’ascensore di un palazzo, una misteriosa cronaca radiofonica), Truman prende a poco a poco coscienza della sua drammatica situazione e capisce di essere al centro di un mondo completamente inventato, dove nemmeno il sole e il mare sono reali. Quando se n’è reso conto definitivamente e ne ha acquisito la certezza incontrovertibile, l’uomo decide di sconfiggere la sua paura dell’acqua e, presa una barca a vela, si precipita ai confini dell’enorme studio televisivo in cui è sempre stato rinchiuso per conoscere il mondo esterno. Christof tenterà in ogni modo di ostacolarlo per non perdere la sua ingente fonte di guadagno, ma il desiderio di Truman è inarrestabile, e alla fine sarà proprio quest’ultimo ad averla vinta, anche se non sapremo mai cosa egli troverà una volta uscito dal paradiso ideale ormai lasciatosi alle spalle. Formidabile apologo cinematografico sullo strapotere dei mass media in una società nella quale la virtualità ha assunto un’importanza che in molti ritengono superiore a quella della realtà visibile e tangibile: il film di P. Weir, strutturato benissimo secondo canoni tragicomici che mantengono però intatto lo spazio espressivo della narrazione e non perdono mai di vista lo svolgimento coerente della vicenda, punta il dito anche contro gli incommensurabili introiti che le televisioni, a prescindere dalla loro provenienza o nazionalità, incassano giornalmente, sfruttando addirittura i dolori e le incertezze delle persone pur di arricchirsi. Hanno torto, inoltre, i critici che ritengono che, paradossalmente, i due punti deboli del film siano proprio il regista e l’attore protagonista: Weir si cimenta con incredibile successo sia nel racconto che nel metaracconto, offrendo in entrambe le occasioni un’opportunità di rigore stilistico che abbraccia un’interpretazione dell’imprigionamento informatico con grandiosa dovizia di particolari e spunti interessantissimi; quanto a Carrey, il suo impegno nel sostenere la complessa natura psicologica del suo carattere non si può definire ammirevole, perché sarebbe un complimento troppo modesto: è una forza morale che va ben oltre, e non esistono parole per tesserne gli elogi. Attenzione anche alla non casuale scelta dei nomi: Truman deriva dall’inglese "true man" (uomo vero), e perché sia stato appioppato ad un protagonista sulle prime inconsapevole della sua condizione ma in seguito convintosi della necessità di una liberazione, risulta lapalissiano. Per quel che riguarda l’inventore dello spettacolo, Christof (un E. Harris severo e austero nei panni di un anticonvenzionale antagonista assolutamente fuori dall’ordinario) richiama la locuzione "Christ-off", traducibile con "assenza di Cristo". Assai remunerativo al box office, ma non ha portato a casa neanche un Oscar.
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