My Name Is Joe

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Un film di Ken Loach. Con Peter Mullan, Louise Goodall, Gary Lewis, David McKay, Lorraine McIntosh.
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Titolo originale My Name is Joe. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 105 min. - Gran Bretagna 1998. - Sony Pictures Italia uscita venerdì 4 dicembre 1998. MYMONETRO My Name Is Joe * * * - - valutazione media: 3,46 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Dostoevskij incontra Marx a Glasgow. Succede, con la naturalezza che è propria di Ken Loach, in My name is Joe, il film che è stato presentato la scorsa primavera al festival di Cannes e che è stato presentato recentemente al Festival Torino Giovani, dove il regista ha vinto il premio Cipputi alla carriera. Per Marx non c'è bisogno di spiegarsi: alla sua maniera generosa e semplice, Loach continua ad essere l'unico regista che, in un mondo più incline ad occuparsi d'altro, è interessato solo a personaggi e storie di ambiente proletario, a raccontarci come vive l'altra metà (abbondante) del mondo occidentale. Quanto a Dostoevskij, beh, sui personaggi del bel film di Loach incombe un destino (nel senso di un meccanismo di eventi inevitabili), una maledizione, una ineluttabilità - nonostante le loro pene e i loro sforzi - che ne fa altrettanti dannati, altrettante vittime di una irredimibile vita da umiliati e offesi. Fin dall'inizio - una lunga confessione del protagonista su come è uscito dall'alcoolismo - My name is Joe, il mio nome è Joe, a dispetto di alcuni momenti di rumorosa allegria, si presenta come una storia molto amara e dura. Perché nonostante Joe e la sua voglia di fare, di aiutare gli altri, di conciliare, di trovare soluzioni, la vita alla periferia povera di Glasgow, tra quelli che vivono di un risicato welfare o di piccole attività fuorilegge, ha in sé il germe del dolore e della dissoluzione. E l'apparente "buonismo" che si può trovare in un primo incontro con il film - e che si incarna nella figura di Joe, l'ex alcolista che fa tutto per gli altri, l'ottimista a ogni costo, il protettore dei più deboli, l'uomo che, fisicamente, corre in soccorso, l'allenatore entusiasta della peggior squadra di calcio della città - è contraddetto dall'inevitabilità di un meccanismo crudele che perpetua il suo orrore fino a distruggere ogni speranza. Anche lo spettatore finisce per sperarci, nell'amore tra Joe (interpretato dal simpaticissimo e bravissimo Peter Mullen, che si è rivelato con il "veneziano" Orphans anche un regista di talento) e Sarah (Louise Goodall), l'assistente sociale - per verità non simpaticissima - che lavora nel suo quartiere e si occupa, in particolare, di una coppietta di giovani sciagurati molto cari a Joe. Ma la differenza di esperienza umana e di soluzioni di vita tra le classi a cui i due appartengono - il proletariato e la piccola borghesia - rende la storia molto difficile da vivere. Nella prima parte del film, Loach gioca sul suo tipico registro di umori amarognoli e comici - si veda la partita di calcio, il furto delle magliette, il restauro dell'appartamento di Sarah - ma fa già risuonare i segnali della violenza, quando Joe attacca a pennellate di vernice il funzionario del Dipartimento di sicurezza sociale che lo ha fotografato mentre lavora "illegalmente" (in quanto beneficiario di un assegno di disoccupazione). E, come un tema musicale che sia stato anticipato, la stessa violenza esplode nella seconda parte, di fronte all'inarrestabile meccanismo - la droga, la mancanza di denaro, le minacce, i ricatti - che mette a repentaglio la vita dei suoi protetti, e, in un effetto valanga, la fragile sicurezza di Joe, il suo distacco dall'alcol, il suo amore con Sarah, che, nata nell'altra metà del mondo, non capisce cosa sta succedendo. In quella che è una delle scene più eloquenti del film (e delle sue intenzioni) Joe racconta a Sarah come è cominciata la sua, per lei sorprendente, passione per il concerto per violino e orchestra di Beethoven, l'unica "cassetta" che possiede e che ascolta e riascolta nel suo spartano appartamentino. Aveva rubato delle cassette, le aveva rivendute con successo al pub. Meno quella, che nessuno ha voluto e che è diventata la scoperta di un'emozione e di un mondo diverso. Ma la musica non colma lo iato tra due diverse esperienze del mondo. E Loach e il suo sceneggiatore Paul Laverty non ci fanno apertamente capire se, alla fine di questo viaggio nel mondo aspro e difficile delle periferie proletarie di Glasgow, Joe e Sarah sapranno restare insieme. La speranza - che è il motore dell'esistenza di Joe - farebbe sognare di sì. La crudele alchimia della storia ci dice di no.
Da La Repubblica, 6 dicembre 1998


di Irene Bignardi, 6 dicembre 1998

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