Oscar Cosulich
La Repubblica
La gabbianella e il gatto di Enzo D'Alò sfida il predominio del cartooning statunitense in un duello solo apparentemente impari, dove con mezzi relativamente limitati si contrappone allo strapotere di major come Disney e Dreamworks, sfruttando al meglio il talento grafico dei nostri animatori. Con un budget di 10 miliardi (il più alto della storia per un film animato italiano) elevato sì per media nazionale, ma praticamente inesistente rispetto alle cifre statunitensi, oscillanti tra gli 80 e i 120 milioni di dollari, il film di D'Alò dimostra tutta la verve del miglior cinema indipendente europeo, capace di ovviare con l'emozione agli eventuali limiti nel campo degli effetti visivi. La storia, tratta dal racconto dello scrittore cileno Luis SepúlveDa Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, è un apologo sulla tolleranza e il rispetto dei "diversi", in cui si narra come Kengah, gabbiana avvelenata dal petrolio, riesca ad affidare in punto di morte il proprio uovo al gatto Zorba (doppiato da Carlo Verdone), strappandogli tre promesse: non mangiare l'uovo, averne cura finché non si schiuderà, insegnare a volare al nascituro. La gabbianella, battezzata Fortunata, dovrà imparare a conoscersi e capire di non essere un gatto prima di volare e intanto combatterà al fianco dei felini, contro il Grande Topo (Antonio Albanese), che attende di prendere il potere con la sua orda di ratti. Il film segue la buona prova già fornita da D'Alò e dal suo team con La freccia azzurra e segna la rinascita definitiva del cartoon "made in Italy". In comune le pellicole hanno l'accoppiata tra D'Alò e lo sceneggiatore Umberto Marino, un duo che dimostra di prediligere percorsi legati a una narrativa di qualità (dopo Rodari e Sepúlveda c'è in cantiere il Momo di Michael Ende), dove riescono a miscelare fiaba e poesia con temi come ecologia e antifascismo, abbinando l'animazione a voci prestigiose, capaci di dare corpo ai personaggi. D'Alò e Silvio Pautasso (regista delle animazioni) hanno poi coordinato il lavoro di 200 tra artisti e tecnici, limando con cura ogni sbavatura e inutile lungaggine, per offrire un film palpitante e commovente, magnificamente sorretto dalla colonna sonora scritta da David Rhodes (chitarrista collaboratore di Peter Gabriel) e dalle sue canzoni, la cui versione italiana è affidata alle voci di Ivana Spagna, Leda Battisti, Samuele Bersani e Gaetano Curreri degli Stadio, capace di far cantare persino Albanese.
Da La Repubblica, 24 dicembre1998
di Oscar Cosulich, 24 dicembre1998