Giovane e bella attivista del loale PCI di un paesino della lucania si fa promotrice, contro l'ostracismo dei notabili DC,della arretrata comunità rurale e dei suoi stessi compagni di partito, di istanze di solidarietà sociale, culturale e civile, arrivando ad allestire, in un pagliaio diroccato, una improvvisata scuola per i giovani allievi di famiglie disagiate. Uno di questi,divenuto il parroco della comunità, la ricorda con affetto e nostalgica consapevolezza.
Racconto dai toni autobiografici e lirici, il film di Placido è un esempio di elaborazione civica della propria memoria storica e personale in bilico tra la celebrazione di una misconosciuta 'eroina borghese' (santa laica) e il racconto di formazione giovanile. Costruito su di un lungo flashback che dal tempo presente ci conduce ai tempi di una memoria di vita rurale di cui ormai rimangono solo le diroccate vestigia di ruderi in rovina e l'eredità umana che fa del protagonista (Michele Placido da adulto) un uomo che ha raggiunto il pieno compimento di una sincera vocazione sociale e religiosa, il film sposta l'azione e la riflessione nel tempo di un'infanzia di arretratezza sociale e culturale ma anche di nuovi fermenti, dove l'ideale di solidarietà cristiana viene declinato nello strenuo impegno laico di una piccola grande donna che trasgredisce alla rigidità ideologica di quel 'piccolo mondo antico' (del parroco, degli avversari poltici, dei compagni di partito, della comunità) per donarsi agli altri senza riserve fisiche o morali incarnando, in un parallelo ideale e trasfigurato, l'esempio fulgido (in chiave latamente femminista) del 'Santo saltimbanco' ma mantenendo la sua dimensione umana di donna e amante (in una relazione segreta e fedifraga).
Placido gioca la carta nostalgia attraveso una ricostruzione d'ambiente che ripercorre i luoghi riconoscibili di un paesaggio meridionale della tradizione contadina che iniziano ad essere sfiorati dai primi segni della modernità (siamo alla fine degli anni '50: il televisore nel bar, le poche automobili, i primi fermenti di una nuova giovinezza culturale) alternado una buona capacità descrittiva del'irsinia (scorci suggestivi di campi lunghi sui monti che svettano dal mare lattiginoso delle nubi e l'orizzonte circoscritto dai declivi ora dolci ora brulli delle immense distese dei maggesi) e lo stile oleografico che affligge il cinema di fiction, impegnato nel tentativo di restituire il clima mutevole di quegli anni ma soffrendo di una certa inattendibilità antropologica allorchè rappresenta una comunità popolata dagli stucchevoli prototipi di figure ideologicamente riconoscibili: il bisbetico ras DC locale, il sindaco-avvocato prolifico e servile, il giovane medico fedifrago e socialista, il burbero parroco anti-comunista, il giovane fascitello dalla testa calda (uno spassoso Sergio Rubini). Non ostante i limiti evidenti di una scrittura che indugia sui luoghi comuni dell'immaginario collettivo nostrano (storico e cinematografico), rimane il segno di una genuina ispirazione registica e la buona direzione degli attori tra cui emergono la compassata professionalità del severo Bentivoglio (già 'eroe borghese' del migliore Placido),la convincente prova di una appassionata Mezzogiorno (il film è dedicato alla memoria del bravo papà Vittorio) giovane martire protofemminista in odore di santità e soprattutto lo straordinario Pietro Pischedda, un adolescente cupo e sensibile cresciuto nell'ideale civile e morale di Don Giovanni Bosco (fondatore dell'ordine de Salesiani). Le strade del Signore sono infinite.
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