E’ un film che colpisce, un film forte, durissimo. Fin dalle prime scene ci si arriva addirittura ad identificare con Iris la “cavalla pazza”, la protagonista assoluta e incontrastata della pellicola interpretata in maniera magistrale da una Samantha Morton carnale ed isterica. Ma, via via che il film va avanti, non ci si rivede più nelle sue reazioni esagitate, nei suoi eccessi d’ira, nelle sue rispostacce urlate al vento di una città sempre più tetra e squallida: Iris suscita disgusto, disprezzo, rabbia, infine compassione. Una compassione che esplode nel finale (l’unica parte poco realistica del film), quando la giovane donna riesce finalmente a riconciliarsi con la sorella, colpevole di aver sempre attirato su di sé le attenzioni della povera madre, scomparsa di recente. Iris è impulsiva come una bambina, lo rimane fino alla fine, vittima di un rapporto mal vissuto, di una totale mancanza d’affetto che ha sempre tentato di ritrovare nei compagni occasionali, nelle amicizie di facciata, nell’alcool. Ma, al contrario del mondo infame che la circonda, ha mantenuto questo suo modo d’essere con una coerenza della quale il resto della gente è completamente priva. Una coerenza che Iris difende a tutti i costi, disposta com’è a pagare qualsiasi prezzo. Anche quello di restare da sola, con l’intera umanità che le volta le spalle. Ci si domanda se non sia meglio così.
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