Gummo

Finalmente lo vedo questo film di cui ho sentito tanto parlare. E lo seguo tutto nella sua inquietante, disgustosa bellezza: un gatto morto di 1h. e ½, metarappresentazione di quei gatti di cui vanno a caccia i due protagonisti per tirare su qualche soldo con il butcher: c'è un capo, c'è una coda ma in mezzo il corpo del film è piatto, in decomposizione, praticamente inesistente. ossia senza storia.
Ok, lo hanno ripetuto in tanti e lo ripeterò anch'io: la fotografia è bellissima; l'arte con cui viene tirato fuori il nostro rifiuto viscerale per quello che stiamo guardando (ma continuiamo a guardarlo perchè non possiamo farne a meno) è elevata; la bravura degli attori è pari all'inganno con cui non riusciamo a capire se pezzi di Gummo sono documentario sul campo o fiction; e alla fine la provincia americana emerge in nuovo formidabile raccapricciante orrore.
Ma poi? poi non rimane niente che un'emozione fine a se stessa, che la sensazione della follia, della noia, del vuoto  - che pervade le strade americane,  dai quartieri di periferia alle sconfinate campagne di grano -  forse l'abbiamo già provata prima attraverso la decodifica di qualche buon film psycho o social, di cui sul momento non ricordiamo il nome. 
In una cosa Gummo è diverso dagli altri. La deformazione visiva e comportamentale a cui sono sottoposti i protagonisti, trasforma ognuno di loro  e tutta la rappresentazione, in un circo: nani e giganti, clow e ballerine, donne cannone e forzuti. Solo questa deformazione ci permette di poter guardare dall'inizio alla fine Gummo nella sua cruda, spietata insensatezza. Ma forse questa insensatezza ci permette anche di pensare che siamo sani, e che per i sani il sogno americano è ancora possibile.
Voto 2 per quanto detto fin qui. Ma il film è da vedere, perchè cazzo, è incredibile ma nonostante tutto lascia una traccia indelebile.