Hamlet

Con Branagh Arnteto non è folle

Chissà se è mai stato fatto un catalogo ragionato degli Amleti teatrali e cinematografici. Il primo scomparto forse è un'impresa impossibile. Rigurgitante il secondo (ho controllato sul Morandíni, che elenca tra cinquanta e sessanta Amleti e derivati, come Rosencrantz e Guildenstem sono morti): da Olivier al russo Kozincev, da Zeffirelli a Carmelo Bene, dall'americano Almereyda (con To bé or not to be recitato lungo gli scaffali di gin Blockbuster) a Kenneth Branagh (ma come non citare anche l'Amleto che va regolarmente in scena in To be or not to be (Vogliamo vivere)di Lubitsch e del suo epigono Mel Brooks, con l'esilarante tormentane de(lo, spettatore che si alza proprio all'attacco del monologo più celebre della storia del teatro?).
Branagh, dopo un bellissimo Enrico V, dopo un divertente, irridente, multirazziale Molto rumore per nulla, dopo un bel film di atmosfera teatral-shakespeariana (Nel bel mezzo di un gelido inverno), e nell'attesa di fare il suo Pene d'amor perdute quasi musical nel 2000, a complemento della sua sfida alla tradizione dei Bardo, nel 1996 si è cimentato con l'Amleto integrale: un'impresa ambiziosissima, che tuttavia Branagh porta avanti per tutti i 242 minuti della durata del dramma senza mai annoiare lo spettatore, con un'invidiabile padronanza dei propri mezzi di attore e di regista, e con una compagnia sublime, da Julie Christie a Derek Jacobi, da Kate Winslet a Jack Lemmon, da Judi Dench a John Gielgud. Questa volta l'ambientazione fisica è britannica e neoclassica, solare e sontuosa, mentre l'ambientazione temporale è il primo Ottocento, anche se, dell'Ottocento, vengono schivate tutte le concessioni romantiche per un gioco dei potenti e del potere, vissuto da un Amleto duro e lucido, senza debolezze e nevrosi e ben consapevole del suo ruolo. Una meraviglia. Con, tra gli extra, Branagh che parla e spiega, la storia di Amleto al Festival di Cannes.
Da Il Venerdì di Repubblica, 7 settembre 2007

di Irene Bignardi, 7 settembre 2007