Smoke

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Un film di Wayne Wang, Paul Auster. Con Harvey Keitel, William Hurt, Forest Whitaker, Stockard Channing, Ashley Judd.
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Drammatico, durata 100 min. - USA 1995. - C.G.D - Cecchi Gori Distribuzione uscita giovedì 16 novembre 1995. MYMONETRO Smoke * * * * - valutazione media: 4,00 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Sir Walter Raleigh non era solo un grande avventuriero ma anche un uomo di spirito filosofico (e un importato-re di tabacco). Così che un giorno decise di misurare... quanto pesava il fumo. Riuscendovi, secondo una tecnica che non vi raccontiamo per non togliervi il piacere della storiella che racconta William Hurt all’inizio di Smoke, Orso d’argento a Berlino 1995 (ma avrebbe meritato l’Orso d’oro, e si è comunque preso dal pubblico gli applausi di un gran premio).
Smoke è firmato da Wayne Wang - il regista di Il circolo della fortuna e della felicità, originario di Hong Kong e ormai californiano. Ma è soprattutto il film di Paul Auster, lo scrittore americano autore della trilogia di New York, che ne ha scritto soggetto e sceneggiatura: un piccolo gioiello di leggerezza (il pensiero forse è suggerito anche dal titolo), un divertissement gentile e bizzarro sui destini umani. Un puzzle (di cui magari qualche tessera non va a finire al posto giusto, ma poco importa nello charme complessivo del film) composto dalle vite della gente qualsiasi che ruota attorno a un crocevia di Brooklyn: un inno alla musica del caso, che, come si ricorderà, è il titolo di un bel romanzo di Paul Auster - oltre che del film che ne ha tratto Philip Haas.
Il perno della storia è un meraviglioso Harvey Keitel al sommo della naturalezza, che ha fatto della sua tabaccheria una specie di campiello goldoniano dove si filosofeggia, si perde tempo, si fanno pettegolezzi e metafisica, si osservano gli strani casi della vita. William Hurt è uno scrittore in crisi (sua moglie incinta è stata uccisa durante una rapina). Un ragazzino di colore (Harold Perrineau jr), che lo ha salvato dal finire sotto un autobus e trova ospitalità presso di lui, è coinvolto, innocente, in una brutta storia e si inventa un’identità dopo l’altra per sfuggire alla famiglia e ai gangster che lo cercano. Circola un sacchetto con cinquemila dollari rubati. E i soldi farebbero molto comodo a Stockard Channing, la donna che Keitel ha amato tanti anni prima e che è angosciata per la sorte di sua figlia, forse figlia anche di lui - ma forse no.
La paternità è la cosa più casuale, nel mondo di Smoke. La musica del caso composta da Paul Auster e orchestrata con grazia e simpatia da Wayne Wang intreccia i fili dei destini, produce agnizioni e ritrovamenti, costruisce famiglie nuove e bizzarre là dove la vita le ha distrutte o disfatte. Così che il ragazzino troverà forse suo padre, Forest Whitaker, che da dodici anni sta cercando nel modo peggiore di dimenticare una tragedia - ma forse ora la sua famiglia è William Hurt. I soldi della rapina, con un in-consueto lieto fine, finiscono nelle mani giuste. Il puzzle si chiude con uno struggente capitolo finale in cui Harvey Keitel racconta all’amico in crisi creativa il suo bizzarro Natale di tanti anni prima con una vecchia signora cieca che - un’altra famiglia del cuore, e un altra coincidenza costruita dal caso - lo scambia per suo nipote e celebra con lui le feste, mentre una bellissima canzone di Tom Waits(Innocent when you dream) ci accompagna verso il finale. Bisogna aggiungere che questo “racconto di Natale” esiste davvero, firmato da Paul Auster, ed è uscito sul “New Yorker” nel numero di dicembre del 1990.
Leggero come il fumo, ma toccante, divertente, bizzarro, vero nei sentimenti se non nella logica stretta, Smoke è un film inconsueto e speciale. Anche per il fatto di avere un doppio - Blue in the Face - girato in cinque giorni, alla fine del film, attorno allo stesso crocevia di Brooklyn: il gioco collettivo di un gruppo di persone che hanno lavorato bene insieme e che non vogliono lasciarsi, si trasforma in un esilarante documentario su un quartiere e un modo di vivere, sulle perdute gioie del fumo, sul piacere di fare cinema con pochi soldi.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996

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