Irene Bignardi
La Repubblica
Quattro giovani donne, quattro amiche, quattro diver-se situazioni tipiche - solitudine, tradimenti, crisi coniugali, vana ricerca dell’amore – incorniciate nell’arco di un anno. Che comincia male per Bernardine (Angela Bassett), bella, ricca e felicemente sposata (o così pare), la quale si sente freddamente annunciare da suo marito, apponto l’ultimo giorno dell’anno, che intende passare la simbolica serata con la sua nuova donna, e anzi, che forse proprio meglio divorziare. Quanto alle altre, la bella e brillante Savannah (Whitney Houston) ha deciso di mollare Denver, dove “gli uomini sono tutti cadaveri” (il suo non si decide a mollare la moglie) per raggiungere le amiche a Phoenix. Robin (Lela Rochon) è brava in affari ma con gli uomini, che cambia con la stessa frequenza con cui cambia d’abito, va disastrosamente; e Gloria, oltre ad aver messo su troppi chili e a essere eccessivamente proattiva nei confronti del suo unico figlio adolescente, continua a rimpiangere vanamente suo marito, che se n’è andato da un pezzo e che quando compare le comunica, a scanso di equivoci, di essere ormai decisamente gay. (Cosa che, sia detto per inciso, non turba più di tanto il pargolo: o gran saggezza dei giovani moderni.)
Donne - Waiting to Exhale (e cioè in attesa di tirare il fiato; ma è una buona idea questo titolo metà italiano e metà americano?) sembra, senza con ciò voler essere scortesi con Almodovar, un Donne sull’orlo di una crisi di nervi in versione isterica, black e americana. Diretto da Forest Whitaker che per la seconda volta si è messo dietro la mac-china da presa (la prima occasione fu Strapped) per porta-re sullo schermo un popolare romanzo di Terry McMillan, pubblicato in Italia con il titolo Un respiro di sollievo, il film ha di originale e interessante il fatto che le sue donne in crisi sono quattro signore-bene di colore: cosa che ha certo determinato il notevole successo registrato dal film nella comunità nera americana, stufa di vedersi rappre-sentata sullo schermo solo in storie di droga, di povertà e di violenza. E Donne vuoi dimostrare che, a parte una spic-cata e riconosciuta tendenza del maschio afroamericano a darsela a gambe di fronte alla famiglia, all’amore e alle re-sponsabilità, i problemi della buona borghesia benestante, visti dalla parte delle sue donne, sono gli stessi - lavoro, mariti, amori, divorzi, bambini da sistemare - qualunque sia il colore dei protagonisti. Ma è proprio l’eccesso di co-lore della recitazione - le troppe mossette, i manierismi, la sovraeccitazione, le risatine - a rendere insopportabili, dopo i primi venti minuti, questo quartetto di signore inquiete e i loro problemi più o meno sentimentali.
Ritagliata dalla sceneggiatura di Terry McMillan e Ronald Bass, la filosofia delle quattro amiche, sotto l’apparenza di una gioiosa complicità, alterna spregiudicatezza e avidità, superficialità ed egoismo (basti vedere come l’unico vero problema di Bernardine sia quello di beccare quanti più soldi può dal marito), un’estetica da spot pubblicitario e un’etica da soap opera. E Forest Whitaker non sa purtroppo fare di meglio che rendere freneticamente rutilante, e rumoroso, il suo gruppetto. Con un risultato certamente curioso dal punto di vista dell’autorappresentazione della borghesia di colore: ma con una altrettanto curiosa sensazione di déjà vu - abbiamo già visto questa storia, e in versioni più lusinghiere per il sesso femminile che pure sembra uscirne trionfante.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996
di Irene Bignardi, 1996