Wyatt Earp

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Irene Bignardi

La Repubblica

Nell’epopea del West ci sono due grandi storie (per chi ci crede) o miti (per chi non ci crede fino in fondo) che sono ritornati in varie forme e in varie epoche, riproposti in ogni possibile variante per gli spettatori di cinema. Quella di Pat Garrett e Billy the Kid, dello sceriffo e del bandito suo amico, della lealtà e del tradimento in nome della giustizia. E quella di Wyatt Earp, del suo clan e del massacro dell’O.K. Corrail, avvenuto a Tombstone, Arizona, il 26 ottobre 1881, che con la sua scia di sangue ha lasciato una traccia indelebile nella pur disinvolta e violenta cultura della frontiera, costringendo i contemporanei di Earp a interrogarsi sul senso vero della parola giustizia.
C’era da aspettarsi che i due responsabili del rilancio del cinema western - e cioè Lawrence Kasdan, autore con Silverado di una rivisitazione fatta in insospettabili epoche precedenti il recente revival, e Kevin Costner, che con Balla coi lupi ha rilanciato il genere verso una nuova vita - incrociassero i loro percorsi di cineasti su una delle due storie-archetipo. Curiosamente, la scelta è caduta sul personaggio di Wyatt Earp, appena celebrato da un altro film
della scorsa stagione, Tombstone. Ma non è certo il confronto con il film di Cosmatos la ragione dell’insuccesso che il West di Kasdan ha registrato negli Stati Uniti e della sensazione di insoddisfazione e di occasione sprecata che lascia.
Kasdan, il suo cosceneggiatore Dan Gordon e Kevin Costner hanno deciso, si direbbe, di far ordine diligentemente e una volta per tutte in un’epopea confusa e magmatica che ogni precedente versione ha trattato a suo modo, pur attingendo sempre al fondamentale testo di Stuart N. Lake(Wyatt Earp, Frontier Marshall): così il personaggio di Earp è un qualsiasi pistolero western con la stella di latta in Gli indomabili di Allan Dwan (1939), un buono costretto all’esercizio di una giustizia violenta in Sfida all’O.K Corral di John Sturges (1957). E se Gli indomabili raccontava la storia di Wyatt Earp dal suo arrivo a Tombstone, Sfida infernale la cominciava poco prima e Sfida all’O.K Corral narrava solo gli avvenimenti di Tombstone fino alla celebre sparatoria - come appunto Tombstone di Cosmatos, che però segue i personaggi anche successivamente -, Wyatt Earp vuole offrire la cronistoria completa della vicenda: dall’infanzia in famiglia di Wyatt, sotto l’ombra di babbo Gene Hackman e della sua visione fami-lista, attraverso il dramma del suo primo matrimonio, distrutto dalla precoce morte della moglie, seguendolo nelle sue crisi depressive, nella vita errabonda, nelle avventure da sceriffo e vicesceriffo in squadra con i fratelli a Dodge City, a Wichita e a Tombstone, sino alla sua vecchiaia in Alaska ai tempi della febbre dell’oro.
Nasce da questa ambizione enciclopedica la lunghezza spropositata del film (oltre tre ore), che non è sostenuta purtroppo né da una visione sufficientemente inventiva, né da un’operazione di filologia del mito della frontiera, né da un’evidente rilettura del concetto di giustizia nel West, né da una grande interpretazione di Kevin Costner -pur tuttavia assai meglio da uomo maturo e da vecchio che non quando, nel ruolo di Wyatt giovane, sembra in realtà la caricatura del suo personaggio di tontolone in Silverado. E come in Silverado, ma dilatando l’operazione su un arco di quasi quarant’anni, Kasdan costruisce un film di cascami del West e di centoni già visti, che l’ambizione di essere fedele alla realtà degli eventi rende banalmente minuziosi, ripetitivi e privi della tensione creata dalla trattazione più romanzesca dei suoi grandi predecessori cinematografici.
Tanto che l’aneddotica della narrazione finisce per annullare il peso e il senso dell’episodio centrale - lo scontro tra i “Fearless Earp”, affiancati dal dentista e pistolero Doc Hollyday, e il prepotente dan dei Clanton -, stemperando nella confusione dei dettagli i quesiti morali che l’evento pose a un’intera generazione di pionieri e alla neonata cultura del West. In un cast affollatissimo dove spicca solo Gene Hackman e Dennis Quaid sfoggia senza charme la terrificante magrezza da tisico di Doc Hollyday, si fa ammirare per la molta grazia Joanna Going, nel ruolo di Josie Marcus, l’attrice che Earp sposò e che gli rimase accanto sino a quando mori, ricco e leggendario, il 13 gennaio 1929.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996

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