Un mondo perfetto

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Un film di Clint Eastwood. Con Kevin Costner, Clint Eastwood, Laura Dern, T.J. Lowther.
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Titolo originale A Perfect World. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 135 min. - USA 1993. MYMONETRO Un mondo perfetto * * * * - valutazione media: 4,00 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Un mondo perfetto è il bel titolo - in chiave ironica, perché quello che descrive certo non lo è, anzi - di un film assai lontano dall’essere perfetto, come invece sostiene l’affezionata lobby dei cultori di Clint Eastwood. Il quale, con tutta l’irresistibile simpatia rivelata in questi ultimi anni e l’innegabile crescita verso un cinema di qualità e di idee, resta un regista ineguale, che aspetta di incontrare ancora sulla sua strada un altro personaggio o un’altra storia come quella di Bird.

La prima cosa che non funziona in Un mondo perfetto è il cast. Benissimo Clint Eastwood nel ruolo minore, discreto, di un ranger ormai invecchiato, che non ha più nessuna voglia di credere nella legge a tutti i costi né di ficcarsi nei casini, in caccia di un galeotto evaso da un penitenziario che sta attraversando il Texas lasciandosi dietro una scia di incidenti e di sparatorie. Meno bene Kevin Costner nel ruolo del “Cattivo che Cattivo non è ma sotto sotto è un Buono ferito a morte dai traumi giovanili e dalle cattive compagnie carcerarie”.
Purtroppo per lui, c’è chi nasce, appunto, con una faccia da Buono, e gli tocca per tutta la vita ballare coi lupi o incarnare Jim Garrison - a meno di diventare il grande attore che Kevin Costner non è. Non benissimo anche le figure di contorno, costruite secondo gli stereotipi di una sceneggiatura di John Lee Hancock che non brilla davvero per invenzioni (ma che è già stata riciclata in un “romanzo”). Come Laura Dern, tutta smorfiette di sdegno e di disgusto nel suo ruolo di una criminologa con guizzi di orgoglio protofemminista - ovviamente sfottuta, e peggio, dai machos dell’Fbi a cui si accompagna. O come il tiratore scelto cinico e volgare che alla fine stecchirà senza pensarci un attimo il povero Kevin. Buttata al vento è l’ambientazione nel fatale 1963 e nell’ancor più fatale Texas:
siamo tre settimane prima di Dallas e lo stato della Lone Star va ripulito e tenuto in ordine. Ma la datazione serve solo a tirar fuori macchine d’epoca e a ironizzare sulla tecnologia degli anni sessanta. Carino - ma ogni tanto un po’ troppo nevrotico e smorfioso, ogni tanto adorabilmente libero e felice - il bambino Philip (T. J. Lowther) che Kevin Costner in fuga prende come ostaggio, e che un po’ alla volta educa (o travia) al gusto della ribellione e della libertà, fuori dagli schemi insegnatigli dalla mamma, una tristissima e bacchettona seguace dei testimoni di Geova.
Il rapporto tra il grande e il piccolo, tra il bandito e l’ostaggio, finisce per essere (o per sembrare) l’alleanza tra un ex bambino infelice e un bambino infelice ora, che insieme si liberano nella trasgressione. E Clint Eastwood riesce a convincerci - paradossalmente - che è una cosa buona quando il piccolo, in una pausa della fuga, commette la sua prima infrazione rubando un costumino da fantasma per sentirsi come tutti gli altri bambini che festeggiano Halloween. L’educazione, sembra suggerire Eastwood, a volte passa anche attraverso piccoli peccati che sono un aspetto della libertà di scegliere, e non sempre i cattivi maestri sono tali - e viceversa.
Ma se le vicissitudini e le avventure della strana coppia strappano molte risate, il meccanismo del gioco ha di nuovo, rispetto a una nutrita serie di prototipi, solo il curioso assortimento generazionale che crea risvolti inediti nel vecchio copione della “sindrome di Stoccolma”, come si chiama il legame inestricabile di fascinazione tra sequestratori e sequestrati. Costner è così ovviamente un buono che si è un po’ disorientati quando, arrivato nella casa di una poverissima famiglia nera, di fronte alla violenza del padre nei confronti del figlio, si lascia andare a una esplosione di furia. Certo, Freud ci cova: anche il bandito è stato una vittima della violenza. E la sua genera quella del suo piccolo amico. Ma l’unica vera violenza - ribadisce ancora il didascalico Eastwood - è l’esecuzione fredda della legge, che avviene nonostante la rassicurante presenza del civilissimo ranger.
In precario equilibrio tra spettacolo impeccabilmente confezionato, gag e apologo (anche il personaggio di Eastwood rappresenta un concetto “educativo” sbagliato: è stato lui a far condannare a una lunga detenzione Kevin Costner dopo un primo delitto giovanile, convinto che la prigione lo avrebbe raddrizzato, e invece...), Un mondo perfetto è soprattutto troppo lungo e si compiace della dilatazione di alcune scene, come quella finale. Ma si apre con una immagine tra le più belle del cinema di Clint Eastwood: Kevin Costner abbandonato sull’erba, un braccio ripiegato sotto la testa, un sorriso felice, gli occhi chiusi, e dei dollari - di quelli con cui a volte si possono comprare i sogni - che gli svolazzano attorno.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996

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